Per la Meloni la Costituzione è cartastraccia

di Ugo Balzametti

Autonomia differenziata: un salto nel buio

In queste ore, mentre scriviamo, si va profilando il rischio di un grave colpo di mano da parte del governo Meloni. Infatti nei giorni scorsi è  apparso, sulla pagina politica del Corriere della sera, un trafiletto anonimo con il quale si comunicava che ”lunedì 19 maggio in Consiglio   dei ministri potrebbe approdare un disegno di legge delega per determinare i Lep.”.   “La correzione dei Lep è diventato un passo obbligato per il governo Meloni dopo la sentenza dello scorso novembre della Consulta sull’Autonomia differenziata. Se i Lep venissero definiti, le risorse da garantire  agli enti locali sarebbero stabiliti in successivi decreti”.

Come è già avvenuto in precedenza, il governo si sta muovendo in modo opaco, senza che alcuno possa  conoscere le sue reali intenzioni. 

 Nessuno ha conoscenza delle proposte del governo in materia, ma soprattutto, è indispensabile sapere come si vogliano riscrivere i  punti dichiarati incostituzionali dalla Consulta.  Un tema così nevralgico per le sorti della nostra democrazia, non può essere gestito solo dal governo, ma è indispensabile il coinvolgimento e la vigilanza del Parlamento, delle istituzioni elettive, dei cittadini tutti.

Stiamo vivendo un’epoca che è difficile non descrivere come densa di angoscia e di possibile disperazione: basti pensare alla prospettiva con la quale la guerra è entrata nella dimensione quotidiana delle persone o alle drammatiche conseguenze di una crisi eco-climatica ormai divenuta ordinaria ; basti percepire la grande divaricazione che separa i pochi che detengono tutto, ai milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà.

In  questo contesto, la legge Calderoli sull’Autonomia differenziata, si colloca dentro una precisa idea di Paese, perseguita dalle forze politiche di destra. Un disegno lucido, non solo anticostituzionale, cioè antitetico ai principi e ai  valori della nostra Costituzionale nata dalla Resistenza, ma anche perchè viene considerata come un accidente della storia.

Dopo la vittoria elettorale del 2022, e tenendo ben d’occhio la scadenza prossima, la maggioranza di destra, con una lettura estremistica del testo costituzionale modificato, ha tentato di spostare quanto più potere possibile ai Presidenti di Regione, ignorando le critiche che provenivano da giuristi, economisti, istituzioni, tra cui Banca d’Italia, dalla CEI e persino da Confindustria. 

In varie occasioni la Presidente Meloni, ha avuto modo di affermare che la Costituzione Repubblicana, fermo il riconoscimento formale, non è la carta fondamentale della  nostra Repubblica, ma rappresenta il sigillo di una vittoria momentanea di una parte su un’altra, e come tale può essere messa in discussione, stravolta, mandata in soffitta.

Partendo da questa falsa idea storica, il governo in carica, nel 2023, ha ripreso la discussione della riforma del Titolo V della Costituzione, che Gianni Ferrara definì ”un monumento di insipienza giuridica e politica”.

Essa rappresentò il suggello di una tendenza che all’epoca, i dirigenti dell’Ulivo non compresero,  oppure decisero di cavalcare un confuso tentativo  di “aggiornamento  delle istituzioni”.  Il presidente del consiglio  all’epoca era Giuliano Amato.

Fu un errore politico enorme, tra l’altro  prestandosi al gioco della Lega, e come risultato più evidente è stato quello di aver accentuato le disuguaglianze tra Nord e Sud. Purtroppo ha trovato fautori a destra quanto a sinistra, e da ultimo il governo Gentiloni nel 2018, quando ormai a legislazione conclusa, sottoscrisse tre Accordi preliminari con i presidenti di Veneto, Lombardia ed E. Romagna.    L’on. Bersani con la sua consueta onestà intellettuale definì quella riforma “frutto di una suggestione federalista del centro-sinistra” . Ma nessuno chiese conto ai due presidenti.

Il quadro che ne è scaturito ha avuto l’effetto di aver creato un precedente, pericolosissimo, sia perchè le modifiche costituzionali sono state realizzate seguendo un’impostazione “maggioritaria” di cui ancora oggi se ne stanno pagando le conseguenze , sia per aver aperto un’autostrada ai conflitti, sempre più profondi, tra Stato e regioni.

Che il Sud esca ancor più svantaggiato anche  da questo tipo di autonomia è palese. Con questa legge dovrebbero essere garantite pari condizioni nell’erogazione dei servizi grazie ai LEP (Livelli essenziali delle Prestazioni). Che sia una bufala, nonostante le affermazioni del prof. Sabino Cassese, è facile intuirlo, poiché le condizioni paritarie nei servizi che il governo Meloni promette al Sud difficilmente saranno realizzate.

Se non partiamo da queste sintetiche premesse, non si riesce a comprendere fino in fondo il pericolo rappresentato dalla legge Calderoli e dal disegno di legge sul premierato il cui iter parlamentare riprenderà nelle prossime settimane.

Il 29 giugno 2024  la Camera dei Deputati dopo un iter molto accelerato per accordi di scambio politico tra componenti della maggioranza , ha approvato definitivamente la legge che  regola “ Le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art.116 della Costituzione”.(legge 86/2024),

L’intervento nel novembre scorso, della Corte Costituzionale sul tema dell’Autonomia differenziata (da ora AD), ha avuto il merito di fare chiarezza su molti aspetti della legge 86/24, tanto che  ha sollecitato il Governo a riscriverne parti importanti, perché incostituzionali. Nonostante ciò il l’on, Calderoli ha proseguito per la sua strada, che ha permesso  di ottenere almeno tre risultati importanti: la ritrovata coesione della maggioranza, l’auto-mortificazione del Parlamento e il possesso di un’ arma di propaganda molto efficace.

Superato con molti interrogativi l’ostacolo del referendum sull’Autonomia differenziata del gennaio  scorso, ora è necessario dare risposte convincenti ad una riforma  di importanza cruciale per il futuro del nostro Paese. Parliamo non di eventuali semplici modifiche degli assetti amministrativi, ma del tentativo di un riassetto complessivo delle responsabilità e dei ruoli degli organi istituzionali, che, insieme al premierato, potrebbero fare cartastraccia della nostra Costituzione.

La legge 86/2024

Il DDL Calderoli ( è il primo firmatario ) è una legge quadro di undici articoli che individua i criteri e le procedure per attribuire alle Regioni “ ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” sulla base di un’intesa tra Stato e  Regione interessata, “seguendo i principi della solidarietà  e  della lealtà”

La legge prevede accordi che hanno una durata decennale, e non sono modificabili senza l’assenso dei Governatori.  Il risultato è una sorta di centralismo regionale a tutto discapito dell’autonomia dei Comuni.

Il governo Meloni ha impostato il processo di realizzazione del regionalismo differenziato seguendo due direttrici distinte e correlate:

  1. la determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art.117 2° comma della Costituzione
  2. la presentazione alle Camere di un disegno di legge per l’attuazione dell’art.116 comma 3° della Costituzione.

L’analisi del DDL Calderoli evidenzia la presenza di molti aspetti critici, di cui due, a nostro parere, sono i più rilevanti: il primo riguarda le regole finanziarie che sono, spesso, contraddittorie  e confuse;  il secondo è  collegato alla forma di governo, dal momento che si altera l’equilibrio tra le istituzioni dello Stato.

Circa le prime, l’elemento di criticità è relativo essenzialmente alla quantità di materie che possono essere devolute da una Regione.   

Per quanto riguarda le seconde, il conferimento agli Enti locali delle funzioni amministrative non è di esclusiva competenza dell’AD, ma si determina anche in base all’art. 118 della Carta, con l’applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

E’ bene ricordare che dal confronto sulla legge Calderoli emerge che:

  • il ricorso alla legge è una mera facoltà e non un obbligo costituzionale;
  • le Regioni possono chiedere le competenze dell’art. 116 della Carta, ma sta al Parlamento decidere se e quali concedere e approvarle;
  • le regioni non hanno mai motivato l’opzione per la AD, ne il governo l’ha mai richiesto;
  • qualsiasi decisione parlamentare di devoluzione dei poteri è irreversibile;
  • l’intesa raggiunta è decennale, e non può essere oggetto di referendum;  
  • il trasferimento dei poteri, materia per materia, sono demandati alla valutazione di Commissioni tecniche paritetiche, fuori dal controllo del Parlamento.

Le 23 materie ritagliate per le Regioni sono tutte quelle previste dall’art.117 della Carta : rapporti internazionali, commercio con l’estero, tutela e sicurezza sul lavoro, istruzione, ricerca scientifica, ordinamento sportivo, protezione civile, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto, Casse di risparmio regionali etc.   Si tratta in prevalenza di materie definite “concorrenti”, ossia vi è una competenza condivisa tra Stato e regioni.

Le  richieste di AD formulate da Veneto, Lombardia, E.Romagna, Liguria e Piemonte, se soddisfatte anche solo parzialmente, sono in grado di modificare, in peggio, la realtà del nostro Paese.

Prima di tutto si verrebbe a determinare la nascita di regioni-stato con amplissimi poteri a scapito del governo nazionale. Dall’altro non solo verrebbe meno il welfare nazionale, ma sarebbe impossibile mettere in campo le necessarie politiche di sviluppo economico e sociale. In questo modo il solco tra regioni ricche e quelle povere si amplierà ancora di più.   

Le critiche all’impianto del DDL Calderoli sono rimaste senza risposta. Pertanto ogni regione potrà chiedere tutte le materie previste dall’art. 117 Co. senza fornire motivazioni. La frammentazione caotica, l’impossibilità di un loro coordinamento, peseranno sulle tasche degli italiani.

Nessuno ha chiarito sulla base di quali indicatori verificabili di efficienza ed efficacia, si potrà valutare se la regione spende meglio dello Stato. Il Parlamento è messo del tutto ai margini circa la formazione e approvazione della legge.

Per quanto riguarda la ripartizione dei compiti, il collegamento tra Unità  e Indivisibilità della Repubblica da una parte, e autonomia delle Regioni dall’altra, è garantita dal principio di sussidiarietà, per cui l’Ente di livello superiore svolge compiti e funzioni amministrative solo quando questi non possano essere svolti dall’Ente di livello inferiore.

Di conseguenza, esso non può riguardare intere materie. A ciascuna materia fa riferimento un gran numero di funzioni eterogenee, per alcune delle quali l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare alla collocazione verso il livello più alto. 

Va ricordato, inoltre, che la formulazione dell’art. 116 Co non sembra consentire un trasferimento in blocco delle materie, in quanto la norma prende in considerazione ambiti particolari, e non prevede un capovolgimento di ruolo dello Stato e delle regioni.   Le disposizioni di cui il 3° co dell’art.. 116 Co, sono compatibili con l’impianto costituzionale, solo se ne viene data un’interpretazione restrittiva.

L’importanza dei Lep

I livelli essenziali delle prestazioni (LEP)  costituiscono l’aspetto centrale dei servizi da erogare in modo uniforme sul territorio nazionale,. L’obiettivo è garantire la tutela dei diritti civili e sociali nelle diverse macro-aree stabilite dalla legge ( sanità, scuola, assistenza, trasporti etc) per tutti i cittadini senza tener conto della regione di residenza.  La Costituzione ha attribuito la definizione

La Corte Costituzionale con sentenza 220/2021 ha definito i Lep “nucleo invalicabile di garanzia minime” per rendere esigibili i diritti di cui i cittadini dovrebbero godere. Va precisato che la definizione di LEP è prevista dalla Costituzione a prescindere dall°AD.

La potestà per la definizione dei Lep e delle risorse necessarie per finanziarli, spetta al Parlamento.

Di contro il governo con la legge Caldaroli affida la determinazione dei Lep ad una Cabina di regia, definita dalla legge di bilancio 2023, presieduta  dal Presidente del consiglio, e composta da ministri interessati.

Passando alla procedura per la quale assegnare alle regioni maggiore autonomia, è all’art.116 modificato che occorre fare riferimento.  La disciplina posta dalla legge di bilancio 2023, è rivolta essenzialmente all’individualizzazione dei Lep per consentire il riconoscimento in ogni regione, mediante finanziamenti collegati ai fabbisogni standard, delle condizioni preliminari per la definizione di ulteriori condizioni di autonomia.

Ma proprio perché si è previsto che l’intero processo è vincolato all’invarianza finanziaria e si concluderà con DPCM, ovvero con atti non dotati di forza di legge, il risultato finale sarà che  saranno presi in considerazione solo Lep già esistenti.

Il provvedimento prevede tre fasi attuative.  Nella prima di sei mesi la Cabina di regia dovrà effettuare una ricognizione delle funzioni statali e della relativa spesa storica, individuare le materie riferibili ai Lep e, infine determinare i Lep nell’ambito degli stanziamenti di bilancio vigenti e  sulla base delle ipotesi formulate dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard.

Questo significa che saranno bilancio e fabbisogni a determinare i Lep, mentre la sentenza della Corte Costituzionale 275/2016 ha sancito, al contrario: deve essere “la garanzia dei diritti esigibili a incidere sul bilancio”, e non l’equilibrio di questo a condizionare la doverosa erogazione”.

In una seconda fase, sempre di sei mesi, la Cabina di regia procederà a predisporre gli schemi dei decreti del Presidente del Consiglio ( Dpcm) che determinano i Lep e i relativi fabbisogni  standard; su tali schemi si dovranno esprimere la Conferenza unificata Stato/regioni e il Parlamento.

Di conseguenza le regioni possono ottenere subito le funzioni relative a 9 materie di quelle previste dall’art. 117 Co. Per queste materie, infatti, il  Comitato per la fissazione dei Lep ha ritenuto non vi fossero livelli essenziali da garantire. 

Le materie individuate sono: rapporti internazionali, commercio con l’estero, professioni, protezione civile, previdenza complementare,  coordinamento della finanza pubblica, casse di risparmio, casse rurali, enti di credito fondiario etc.

Di fronte a questa prospettiva le regioni  del Nord hanno maturato l’orientamento di chiedere, da subito, le attribuzioni delle materie non  subordinate alla definizione dei Lep.

Qualora dalla determinazione  dei Livelli essenziali dovessero derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni, solo dopo l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi.

Analisi degli articoli

In premessa sono individuate le finalità dell’intervento legislativo (art. 1) tra cui si richiamano: il rispetto dell’unità nazionale e l’obiettivo di rimuovere discriminazioni, disparità di accesso ai servizi essenziali presenti sul territorio, rispetto  dei principi di unità giuridica,  economica e sociale.

L’articolo 2 disciplina la procedura che porta all’approvazione delle intese previste ai sensi dell’art. 116 3° Co.  L’iter è rappresentato da una trattativa che si svolge all’interno della Commissione paritetica, fra Stato e regione interessata, che si conclude con una intesa preliminare.    Il confronto si sviluppa a “porte chiuse” e nulla trapela all’esterno. Ancora oggi, a distanza di sette anni, non si conoscono i contenuti dei testi sottoscritti nel 2018, dalle tre regioni del nord.

Prima di avviare il confronto fra lo Stato e la regione, il Presidente del Consiglio può intervenire per limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie, “al fine di tutelare l’unità giuridica ed economica, nonché  d’ indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie” (art. 2 comma 2).

In altre parole l’inquilina di Palazzo Chigi, avrà un potere di veto sul negoziato, e nei fatti diventerà la garante dell’unità nazionale, e arbitro della principale partita politica nazionale.

Su richiesta della  regione interessata, il governo avvia la trattativa, che si conclude con una intesa preliminare.     L’accordo, acquisito il parere della Conferenza unificata, viene trasferito alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari: quest’ultimi si potranno esprimere solo con “atti di indirizzo” non vincolanti.

Il Presidente del consiglio, predispone lo schema di intesa definitivo che viene trasmesso alla regione interessata, per l’approvazione. L’accordo successivamente viene ratificato anche dal Consiglio dei ministri, e inviato alle Camere. Quest’ultime non possono svolgere una discussione di merito, non possono fare emendamenti, devono solo approvare o respinge in blocco l’intesa. 

L’articolo 3  è relativo non solo alla definizione dei Lep, ma anche al monitoraggio dei costi e indica la procedura a cui ricorrere se la regione differenziata non fosse in grado di garantire adeguatamente le prestazioni.  

Altra nota critica si riferisce alle regole per l’approvazione dei  Lep, in quanto viene adottata la tecnica della delega al governo da parte delle  due Camere. Si tratta di una delega anomala in quanto il DDL Calderoli sottrae in questo modo la determinazione dei Lep al Parlamento, che  nei fatti significa una delegificazione dei Lep.

La previsione affinchè ” il periodico aggiornamento dei Lep da parte del governo, può avvenire nei limiti delle risorse finanziarie disponibili”.  Tale previsione introduce un vincolo di subordinazione delle prestazioni alle risorse, che è in netta contraddizione con la giurisprudenza costituzionale.

Con l’art. 4 vengono stabiliti i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, dopo la definizione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio, senza le quali non ci potrà essere autonomi. Si mettono in conto che possano sorgere nuovi costi  a carico della Stato.

L’articolo presenta aspetti  di ambiguità. Il primo riguarda la nozione di “residuo fiscale”, ovvero il presupposto finanziario che ha condizionato il dibattito pubblico in questi mesi. Il secondo è una vera e propria contraddizione rispetto alle previsioni dell’art.9 .

Il residuo fiscale è un concetto che vorrebbe mettere a confronto quanto le regioni pagano in tasse e quanto le Regioni ricevono in pesa pubblica. Se  una Regione riceve in spesa pubblica meno di quanto paga in tasse, ha un residuo fiscale positivo, ovvero per ottenere gli stessi servizi potrebbe pagare meno tasse.

Anche in questo caso, a prima vista, si tratterebbe di una rivendicazione ragionevole. Se ci facciamo due semplici domande: le Regioni pagano le tasse?  Le Regioni ricevono spesa pubblica. La risposta è No!   Perché sono i cittadini che pagano le tasse sulla base del sistema  che segue il principio della progressività fiscale, tenendo conto del loro reddito e del loro patrimonio..   Quello che si paga in imposte a Roma è sostanzialmente analogo a quello che si paga a Milano. L’imposizione fiscale è nazionale, ed è finalizzata  alla redistribuzione della ricchezza.

Il  successivo art. 5 si occupa, in particolare, dei principi relativi all’attribuzione delle risorse finanziarie. Peraltro la norma prevede che sia l’intesa Stato /Regione a dettare i criteri per quantificare le risorse finanziarie, umane, strumentali necessari per i trasferimenti di funzioni, Tuttavia la definizione degli stessi è assunta con DPCM che sono decreti di secondo livello, e non hanno forza di legge.

 

Un’altra criticità riguarda la previsione di definire delle Commissioni paritetiche, che hanno avallato il tentativo delle regioni di identificare l’autonomismo differenziato, con il modello dell’autonomismo a statuto speciale.

A tal proposito è’ opportuno sgombrare il campo dal dubbio che il disegno perseguito dalle Regioni che hanno già intrapreso la strada della “differenziazione”, possa essere quello di una replica dell’autonomia speciale. Una soluzione di questo tipo renderebbe del tutto incostituzionali le intese raggiunte. 

L’articolo 116. 3 Co , è assolutamente esplicito, nell’indicare che il modello di riferimento sia quello della finanza delle regioni ordinarie.

Con questa disposizione si concorda anche l’attribuzione alla regione delle risorse  finanziarie, materiali e umane, necessarie per l’espletamento delle funzioni trasferite.  Per le risorse finanziarie, è prevista una “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturati sul proprio territorio” .

Ogni anno poi, le aliquote della compartecipazione vengono aggiornate dal Ministro dell’economia su proposta della Commissione paritetica Stato- Regione, che ridistribuisce le risorse per evitare che ci siano scostamenti fra i fabbisogni di spesa e il gettito necessario a soddisfare i Lep (art. 8 legge 86/24). Questa delicata funzione è attribuita, di fatto, all’esecutivo .

 La mancata indicazione dei propri tributi evidenzia una realtà meno solida di autonomia, dal momento che proprio con queste risorse si potrà realizzare la vera autonomi.  Questo fa presumere che le Regioni non abbiano la necessaria autonomia finanziaria; le chiavi della cassaforte sono in mano allo Stato centrale.

L’articolo 9 introduce una clausola  finanziaria che dispone come “dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. contraddicendo l’art. 4 , dove si prevedono “ interventi finanziari di aggiustamento”.

Lascia perplessi che da un lato si prevedono interventi finanziari di correzione del funzionamento delle intese, e dall’altro si escludono maggiori oneri a carico della finanza pubblica.|

Conclusioni

La coalizione di destra, in una logica di scambio politico tra Autonomia differenziata e premierato, ha tentato, con un colpo di mano, di realizzare quel progetto che la Lega persegue da 30 anni, e con la legge n.86/2024 ha pensato di chiudere la partita; ma la reazione delle forze di opposizione e delle istituzioni hanno bloccato il tentavo di colpo di mano. Non è detto che Calderoli e il governo ritornino alla carica.La legge Calderoli non nasce come un fungo nel deserto, si colloca dentro una precisa idea di Paese, con un disegno chiaro: non solo anti-costituzionale cioè antitetico ai principi e ai valori della nostra Costituzione, ma “pre-costituzionale”, perché ispirato alla considerazione della Costituzione repubblicana, come un accidente della storia.

In questo contesto quanto mai opportuna è stata la scelta fatta dalle regioni Puglia, Campania, Sardegna e Toscana, di ricorrere alla Corte Costituzionale per abolire la legge Calderoli.

Le spinte autonomistiche, in Italia, non  solo non si sono ridotte , anzi negli ultimi anni si è avuta una notevole accelerazione. La motivazione  è sempre la stessa: maggiore autonomia comporta scelte politiche più efficaci, perché vengono realizzate su un metro prossimo alla comunità di riferimento.

Alla base dell’intera impalcatura del nostro regionalismo è posto il principio di solidarietà e di leale collaborazione. Il  DDL Calderoli va diametralmente nella direzione opposta. L’introduzione  dell’autonomia differenziata nella Costituzione è stata vissuta dalle regioni del Nord, come facoltà di richiedere, in blocco, tutte le competenze previste dalla Carta, senza alcun obbligo di  argomentare le motivazioni delle richieste.

La legge 86/24 è il suggello di un progetto politico piegato al binomio premierato-autonomia differenziata . L’obiettivo della Meloni, fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi, è  stato coerente: lo smantellamento del perimetro pubblico del Paese: consegnare ai grandi players privati e al mercato la gestione  delle politiche economiche e sociali.

Procedere poi all’abbattimento delle prerogative del Presidente della Repubblica e al ridimensionare il ruolo di controllo degli istituti costituzionali.

Per andare in questa direzione è  stata utilizzata una doppia leva : il livello politico e il livello tecnico, mescolando abilmente queste due dimensioni. Alla sfera politica è stata lasciata la gestione di una legge procedurale, di natura neutra.

Tutta la sostanza politica di questa riforma, invece, è stata messa nelle mani  di commissioni tecniche (leggi Presidente del consiglio), organismi apparentemente neutrali che, invece intervengono sugli aspetti più politici del DDL Calderoli, principalmente attraverso la definizione dei Lep. Questo giochino ormai deve cessare, anche perché condiziona la vita futura dei cittadini.

A conferma di quanto detto sopra, in questi mesi, la Commissione  dei 12 presieduta da Sabino Cassese ha continuato ad operare, individuando ipotesi di lavoro assai discutibili. Infatti i 12 saggi  hanno prospettato, nella costruzione dei Lep, di prendere in considerazione il costo della vita, e la densità di popolazione, come requisiti chiave per ricevere le risorse finanziarie. Ritorniamo alle gabbie salariali, un tema da anni 50’ del secolo scorso.

La sintesi di questa riforma, dunque, è che da un lato presuppone un esecutivo svincolato da ogni controllo parlamentare, titolare esclusivo del rapporto con le regioni, dall’altro si sconfina in un regime reazionario.  Ci troviamo di fronte ad un obiettivo politico che mortifica l’autonomia costituzionale e deprime il Parlamento.

Nessuna meraviglia, dunque, se oggi la destra al potere tenti di organizzare  le istituzioni dello Stato, in coerenza con la propria cultura e pratica politica, puntando a realizzare un obiettivo storico: trasformare la forma di governo e quella dello Stato.

Fondamentale, di conseguenza è l’impegno di rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo dignitoso della persona,  dove pace, istruzione, diritti sociali, welfare, siano gli obiettivi  che contrastino ogni tentazione plebiscitaria e antidemocratica. 

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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