La faccia nascosta dei referendum

 

Confesso di non di non conoscere il motivo per il quale persino il partito unico, chiamato Spirito Santo, in cui militano soltanto i cardinali presenti in conclave, abbia avuto comunque bisogno di un quorum per poter realizzare il proprio disegno divino. Quel che è certo che l’umana società, quella per intenderci che vive al di fuori dalle mura michelangiolesche, produce anch’essa misteri tuttora irrisolti. A partire dalla nostra terra italica che annovera da anni quale primo partito quello dei non votanti, senza contare che neppure la democrazia parlamentare sia riuscita ancora a trovare neppure un minuscolo scranno  dove confinarla. Finanche i sondaggi che ci vengono quotidianamente somministrati dai media nazionali si rifiutano di misurare la febbre della galassia del non voto. Un buco nero a cui non si addice manco il colore. Eppure i novelli apprendisti stregoni oggi al governo danzano furbescamente inventando ogni giorno nuovi balli, tango del premierato, quadriglia elettorale con sbarramento alto, ovvero preferenze solo al Comune, alla Regione, perfino al Parlamento europeo, ma non a quello italiano per poi accontentarsi di un solitario twist del maggioritario puro.
Oggi invece con il referendum dell’otto e nove di giugno si chiede di pesare il sindacato a colpi di quorum quando persino la Costituzione si è  dimenticata di completare l’articolo 39.

Giuseppe Di Vittorio, ancora a metà degli anni ’50, reclamava l’applicazione dell’art. 39 della Costituzione sul sindacato e sulla contrattazione .
In merito all’ultima questione, la norma costituzionale stabilisce testualmente che i sindacati : “ possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
“Secondo questa norma – commentava Di Vittorio – tutti i sindacati hanno il diritto a partecipare alle trattative sindacali e alla stipulazione dei contratti collettivi unitariamente e in proporzione dei loro iscritti”, e così continuava : “ In tal modo viene rispettato un principio base d’ogni convivenza civile; quello secondo il quale un contratto – un qualsiasi contratto – è valido soltanto quando è stato liberamente stipulato e accettato dai lavoratori interessati, a mezzo dei loro legittimi rappresentanti”.
Di Vittorio però era costretto a lamentare come alcuni parlamentari della Cisl (allora non c’era l’incompatibilità di cariche), a firma anche di Giulio Pastore, segretario generale di quella Confederazione, avessero presentato un disegno di legge teso a contravvenire all’art. 39.
In sostanza si prevedeva che il Governo potesse, con suo decreto, dare riconoscimento giuridico, con validità obbligatoria per tutti, a un contratto stipulato da una sola organizzazione anche se minoritaria.
Di Vittorio così commentava : “L’enormità, l’antidemocraticità e addirittura l’immoralità d’una tale proposta, non hanno bisogno di essere sottolineate”.
Poiché gli stessi proponenti si rendevano conto della gravità della proposta cercarono mitigarla. Si prevedeva la istituzione di una Commissione ministeriale dei Contratti collettivi formata da delegati di tutti i sindacati rappresentati però in modo paritetico (e non proporzionalmente agli iscritti) che avrebbe espresso però solo un parere consultivo.
Veniva ancora prevista la possibilità di indire un referendum confermativo, comunque dopo la approvazione del contratto. Ma la decisione di indire il referendum spettava sempre alla Commissione che deliberava a maggioranza, come detto sopra.

Allora, per fortuna, non se ne fece nulla tanto era incredibile la proposta. Ma l’aver trascurato, anche da parte sindacale, la rivendicazione dell’ applicazione dell’art. 39, ci porta oggi, nella rottura dei rapporti unitari confederali, nella degenerazione delle relazioni sindacali e con politiche governative antisindacali e antisociali, in una situazione di fatto simile (se non peggio) a quella prefigurata dal disegno di legge prima ricordato.
Oggi quel sindacato, la Cisl appunto, è approdato nell’aula del Senato dove è stata appena approvata la sua proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. Soltanto esattamente un secolo fa un solitario sindacato veniva invitato a PALAZZO CAFFARELLI VIDONI (pardon Palazzo del Littorio come amava definirlo il ben noto Benito).
La storia beffardamente si ripete!
Ci sorge solo un dubbio leggendo attentamente il testo dell’AUDIZIONE CISL presso la Commissione (Affari Sociali, Sanità Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale) del Senato della Repubblica in merito al Disegno di Legge n. 1407 recante «Disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese» (Roma, 25 marzo 2025) allorché si conferma il riferimento ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e ai contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. Ma che fine ha fatto l’Accordo Interconfederale tra CGIL CISL UIL e Confindustria in merito al Testo Unico sulla rappresentanza firmato il 10 gennaio 2014?   Strana amnesia del sindacato cattolico? Ancora oggi per mancanza di un’adeguata legge sulla rappresentanza abbiamo nel nostro paese ben 1.006 contratti nazionali vigenti. L’ultima indagine pubblicata dal Corriere della Sera e sulla base di dati provenienti da Confindustria ci dice che su 23 categorie su 26 la Cgil è il primo sindacato e in 11 con una percentuale superiore del 50%.

RESET appunto!

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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