Lettera aperta ai sindacati italiani
Proprio ora che l’Europa sta aprendo gli occhi sul dramma che attanaglia il popolo della Palestina è giunto finalmente il momento che ogni soggetto politico e sociale vicino a noi sia in grado di assumersi integralmente la propria porzione di responsabilità che oggi la storia reclama. La Spagna, la Slovenia, la Gran Bretagna, la Francia e la Germania stanno dando segnali significativi nell’identificare lo stato di Israele quale responsabile di crimini di guerra intollerabili che hanno sconfinato in una orribile pulizia etnica contro una popolazione civile inerme e tremendamente sofferente.
Non sono bastate cinque risoluzioni del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per imporre una tregua e nemmeno per far cessare la vendita o il trasferimento di armi a Israele.
I costi di questa crudele guerra sono stati coperti sinora dai grandi gestori patrimoniali che hanno acquistato obbligazioni sia per i propri fondi che per i propri clienti, tra cui fondi pensione e compagnie assicurative. I dati ci dicono che i 20 maggiori investitori istituzionali – in gran parte gestori patrimoniali statunitensi – hanno fornito finanziamenti a Israele per oltre 2,7 miliardi di dollari attraverso l’acquisto di obbligazioni (war bond) dall’inizio della guerra.
A nulla sono serviti gli sforzi di migliaia di istituti finanziari di tutto il mondo in grado di orientare i loro investimenti utilizzando filtri etici e sostenibili. Ad oggi si stima che i fondi di investimento socialmente responsabili gestiscano circa tremila miliardi di euro a livello globale, e di questi l’84% sia detenuto da investitori europei.
Purtroppo, inchieste indipendenti hanno rivelato che le principali società di rating di sostenibilità, ovvero quelli che dovrebbero permettere di distinguere tra investimenti sostenibili e non, hanno ora deciso di oscurare quanto avviene in Palestina. Le società di consulenza statunitensi in pratica hanno fornito agli investitori informazioni omettendo di segnalare le aziende implicate in violazioni dei diritti umani. Queste pubbliche risultanze provengono dai reportage dei principali media europei, tra cui El Pais in Spagna, De Tijd in Belgio, IRPI in Italia, Børsen in Danimarca, Tages-Anzeiger in Svizzera, Luxembourg Times e Luxemburger Wort. Proprio per questi motivi crediamo che i sindacati italiani che per legge sono parti fondanti di quell’universo finanziario che prende il nome di previdenza integrativa in grado di muovere 243 miliardi di euro in capo ad 11 milioni di lavoratori non possano e non debbano ignorare i destini e soprattutto i percorsi di questo imponente flusso di risparmio generato dal lavoro. Così come per la Russia sono state imposte giuste sanzioni anche per lo Stato di Israele vanno applicate analoghe misure.
Dal momento che la Commissione europea ha avviato la revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele anche il nostro Paese deve interrompere la fornitura di armi o sospendere le forniture autorizzate prima del 7 ottobre 2023 ancora in essere.
Non possiamo ignorare che l’Italia è il terzo maggior esportatore di armi a Israele e ciò nonostante l’articolo 1 della legge 185/1990 vieti l’esportazione di armi e loro componenti verso paesi impegnati in conflitti o in situazioni di instabilità politica interna.
L’8 di giugno 2025 se il Governo italiano non andrà oltre le parole di condanna ascoltate in questi giorni si rinnoverà tacitamente il Memorandum d’Intesa con Israele in materia di cooperazione militare e della difesa siglato nel 2003 tra il nostro paese ed il governo di Tel Aviv.
Ad oggi la sola regione dell’Emilia Romagna è stata in grado di intraprendere una strada netta di condanna. Cosa aspettano tutti gli altri soggetti politici e sociali di questo nostro Paese a far rispettare il diritto internazionale?