Cara Giorgia governare è ben altra cosa

a cura di Ugo Balzametti

(1 maggio 2023)

Con questo nostro contributo  realizziamo un progetto  che da tempo avevamo in cantiere insieme a SriReset,  il blog gestito in modo  sapiente da Walter Bottoni : monitorare a cadenza mensile sia gli aspetti problematici sia quelli positivi fatti registrare dalla complessa gestione del Piano Nazionale di Riprese e Resilienza, ormai conosciuto nelle nostre case  come PNRR.  Naturalmente non commenteremo i fatti quotidiani, ma cercheremo di andare  oltre la notizia, affinché anche i comuni mortali possano conoscere,  capire, possano partecipare, controllare la realizzazione del Piano,  così come previsto dalla normativa europea. 

Del resto il PNRR  fino a qualche mese fa era un oggetto misterioso (leggi  sul blog PNRR “l’oggetto misterioso” )”  tanto che una  ricerca fatta da Libera ha rilevato che  “circa sette intervistati  su dieci  hanno affermato di non conoscere o avere scarsa conoscenza del Piano e ben l’88%ha valutato che il PNRR potrà portare il pericolo, non a torto, della corruzione e infiltrazione mafiose. Inoltre, è confermato, con appena l’8 % degli intervistati , quanto ormai sia profondo il solco segnato  tra   cittadini e politici. 

 E’ un Piano che dovrebbe coinvolgere l’intero Paese, senza l’esclusione dei territori più in difficoltà, anzi l’obbiettivo sulla carta è quello di ridurre le differenze  ormai strutturali tra Nord e Sud della penisola, di genere e tra generazioni . 

 Ma al di là di tutto, il PNRR si presenta come una grande opportunità  di sviluppo, l’occasione più importante per investire dove  siamo ancora carenti o arretrati, per realizzare riforme,  che possano aiutare a recuperare i percorsi di sviluppo bloccati dalla pandemia. 

In questo contesto l’Italia pare davvero una nave in mezzo alla tempesta. Ci stiamo giocando i fondi europei, mentre continuano le scaramucce dentro la maggioranza di governo, senza renderci conto che stiamo mandando in fumo almeno la metà dei 191,5 miliardi che l’Europa ci ha messo a disposizione di qui al 2026.

A Palazzo Chigi ,in un impeto di irragionevole autolesionismo,  il PNRR viene vissuto con un  misto di frustrazione  e  senso liberatorio, come se  si portasse un fardello  non voluto, un sollievo nel riconoscere che “ non c’è niente da fare”, “non ce la possiamo fare”.  Il nostro Sistema-Paese, si dice in ambienti  istituzionali, non è in grado di spendere un volume di risorse di questa portata e in tempi così brevi.

                                

                      PNRR e asili nido : un test per l’Italia

Il nostro obiettivo, oggi, è quello di analizzare più a fondo il tema molto delicato degli asili nido e delle scuole per l’infanzia, tenendo presente che  punto centrale del PNRR  è la riduzione effettiva delle disuguaglianze  tra Nord e Sud , che non può essere strumento di ripresa se non vengono sanate le strutturali  differenze del Paese. Differenze geografiche, differenze generazionali, differenze di genere, differenze  per condizioni di vita. 

Il rafforzamento del sistema educativo è uno dei grandi obiettivi del PNRR italiano. Ad  esse sono dedicati 17,6 miliardi di euro di investimento fino al 2025, di cui 4,6 per aumentare l’offerta educativa nella fascia 0-6 anni.

Il Piano  si pone come obiettivo  di contrastare una serie di processi che riproducono diseguaglianze nel campo dell’istruzione: da quelle dovute alle conoscenze  degli studenti a quelle legate al territorio dove i minorenni vivono. In  particolare, è previsto, almeno sulla carta, un consistente afflusso di risorse (almeno il 40%), con l’obiettivo di ridurre gli squilibri territoriali.

L’intervento di potenziamento infrastrutturale di asili nidi e scuole dell’infanzia ( Poli Educativi) costituisce una della misure bandiera del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).  Perché, specie in questa fase, è diventata così importante?

Innanzi tutto perché gli asili nido rappresentano una prima esperienza di apprendimento e socializzazione per i più piccoli; perché si tratta di servizi che possono favorire la conciliazione dei tempi dedicati al lavoro e alla famiglia per le madri.

 In questo modo si creano le condizioni più favorevoli per l’occupazione femminile, ma anche perché può essere un tassello della strategia per  far crescere la natalità e contrastare la riduzione e l’invecchiamento della popolazione, fornendo maggiori servizi alle coppie che desiderano avere figli. 

Nella mentalità maschilista, compresa quella della nostra classe politica, la cura dei figli compete alle madri, anche a costo di sacrificare le loro ambizioni professionali. In base ai dati dell’Ispettorato del lavoro nel 2021 sono state 38mila le donne  costrette a rimanere a casa. Il motivo della loro drammatica scelta per il 65% indica le difficoltà legate al carico di cura, naturalmente non retribuito.

I nidi  sono anche  strumento per promuovere lo sviluppo delle  potenzialità cognitive di ciascun bambino, nella prospettiva di definire una società più equa e inclusiva. Per questo gli asili devono essere diffusi  capillarmente e resi accessibili anche economicamente, a tutti i bambini/e a prescindere dalle condizioni di lavoro dei genitori.   

Accanto al rischio di una mancata piena attuazione del PNRR riferita alla predisposizione di posti per gli asili nido, soprattutto nel Sud e nelle aree interne, si pone la necessità di prevedere un numero adeguato di personale che abbia la qualifica richiesta.

Le risorse individuate dal PNRR per il potenziamento degli strumenti educativi ammontano a  circa 19 miliardi di euro che dovranno essere utilizzati per ridurre le distanze dagli standard UE e colmare i divari interni. La realtà ci dice che, senza una linea strategica complessiva, siamo molto lontani da questo obbiettivo. 

E’ necessario, quindi, provvedere con urgenza, alla formazione di una  nuova generazione di educatori e docenti.  E’ stimato che per avere un numero di personale sufficiente, affinchè possano essere operativi i nuovi nidi  previsti dal Piano, occorrano circa 32.000 nuove figure professionali.

Per garantire la qualità dell’esperienza educativa, oltre agli spazi e arredi progettati e allestiti con cura, è proprio il coinvolgimento di educatori/trici e docenti qualificati  la garanzia  del raggiungimento degli obiettivi  definiti nel PNRR. 

Questo degli asili nido  è ormai un caso esemplare perché racchiude una serie di profili molto interessanti: riguarda una componente innovativa del sistema del welfare, decisiva per le prospettive di crescita del Paese affidata alla competenza dei Comuni, ma con un’offerta differenziata sul territorio.

Infatti il PNRR non ha allocato direttamente le risorse per gli asili  mediante un Piano deciso e gestito a livello centrale, ma si  è affidato ad un avviso pubblico rivolto ai Comuni chiamati a presentare i progetti per le nuove opere.

Le risorse rese complessivamente disponibili dal PNRR sono ingenti: 4,6 miliardi di euro per la costruzione di 264.480 Poli educativi (nidi e asili), di cui la parte più cospicua è assegnata tramite un nuovo bando di 3,1 miliardi di euro di cui  2,4 destinati agli asili nido. Le risorse del bando non raggiungono comunque gli standard EU; con esse si avrebbero 27,2 posti per ogni  100 bambini 0-2 anni, a fronte del 33% previsto come obbiettivo UE.    

Per tentare di colmare le disuguaglianze territoriali e favorire una distribuzione più omogenea dei servizi, il Piano prevedeva che ogni regione avesse a disposizione somme diverse, con oltre il 55% delle risorse destinate  al Sud.

La norma  (legge di bilancio per il 2022) ha disposto anche un incremento delle risorse disponibili per la gestione corrente, cioè far funzionare i Poli educativi dopo averli costruiti.  Risorse che, come sappiamo, con una decisione innovativa della Commissione UE, sono vincolate al fine concordato e delle quali gli enti locali dovranno semestralmente rendicontarne l’utilizzo.         

Tutto bene dunque? Purtroppo no. Con una scelta assai discutibile, il Piano non fornisce  alcun criterio per l’allocazione territoriale dei 4,6 miliardi; non indica alcuna priorità, ad esempio le aree del Paese dove il servizio non è offerto o è su livelli molto bassi. Tutto è rimesso alla discrezionalità del Ministero dell’Istruzione . 

Tra Nord e Sud i territori sotto il 10%  per presenza di nidi ed asili sono tutti meridionali (Ragusa, Caltanissetta, Cosenza, Caserta) –ma sono presenti anche città e aree interne.             

Dei 300 milioni di euro stanziati per la Sicilia , ad esempio, il valore delle richieste totali non ha  superato i 71 milioni e un dato simile ha riguardato anche la Calabria – con progetti da 119 milioni su 328 disponibili – e la Campania. Si tratta di regioni in cui il numero di bambini/e che frequentano l’asilo nido raggiunge i livelli più bassi.

Al centro-nord la situazione appare meno drammatica , ma nella maggior parte dei Comuni, la capacità di accoglienza dei servizi educativi rimane, comunque, inferiore alla soglia obbligatoria dei livelli essenziali di prestazione (LEP) fissata al 33%-  Se poi parliamo di spesa pro capite, il divario si approfondisce: la spesa dei comuni per bambini residenti va da 149 euro l’anno in Calabria, ai 2481 euro nella provincia di Trento.

In questa situazione critica, il governo risponde con  ulteriori rinvii dei bandi, prolungando i termini, fissando  la nuova scadenza al 31 di maggio p.v. E’ evidente, tuttavia, che le difficoltà delle regioni meridionali  sono più profonde e radicate rispetto a quello che potrebbe apparire come semplice disinteresse.

E dire  che la coesione territoriale è uno degli obiettivi identitari del regolamento europeo che istituisce il dispositivo per  la ripresa e resilienza. E’ particolarmente importante in Italia poiché  consentirebbe di ridurre i divari territoriali tra Nord e Sud mettendola al centro delle politiche di rilancio. Il  Consiglio dell’Unione Europea ha preso atto della proposta del governo italiano di destinare al Sud almeno il 40% degli investimenti con una destinazione territoriale specifica.

Ma se questo percorso, nella definizione del Piano italiano, non prevede alcun vincolo territoriale , molto difficilmente andranno alle regioni meridionali.  Senza una indicazione precisa saranno le regioni più ricche a fare incetta di fondi.

 E’ quindi una grande beffa!

Il governo è dovuto correre ai ripari sui ritardi finora registrati, per garantire la sorte degli investimenti PNRR  per asili nido e scuole dell’infanzia.  Per non far naufragare i progetti, è stato rimesso in  discussione il cronoprogramma:  praticamente la graduatoria degli interventi previsti dal bando nidi è slittata dal 13 giugno 2022 al  giugno 2023 come scadenza italiana per l’aggiudicazione dei lavori. Ben 11 mesi!

  Questa scelta scaturisce dai ritardi accumulati nei mesi scorsi, ma la situazione è resa ancora più  spinosa in quanto in  gioco c’è uno dei filoni cruciali del PNRR dei  Comuni,  che potrebbe permettere all’Italia di far raggiungere la media UE che garantisce un posto al nido ogni 3 bambini della fascia 0-3 anni 

Anche la  Corte dei Conti  a più riprese ha segnalato  preoccupanti ritardi  circa l’utilizzo dei  fondi per gli asili nido.   Ricordiamo che gli obiettivi di Barcellona fissati dall’UE  nel 2015 prevedevano un minimo del 30% di coperture di posti in asili rispetto ai bimbi che ne avrebbero diritto ( …e gli altri?).

Molto opportuno  è l’intervento straordinario del Piano  per ridurre la dispersione scolastica. Si tratta di 1,5 miliardi di euro che dovranno servire a ridurre l’abbandono scolastico dal 12,7% attuale al 10,2% entro il 2026, migliorando i dati nelle regioni in cui il fenomeno è alto.    Sono 3198 gli istituti destinatari della prima tranche del Piano : 500 milioni di euro di cui il 51,2% previsti per il Sud.

Le motivazioni per cui i Comuni hanno presentato pochi progetti risiedono nel timore  di non riuscire a provvedere ai costi di finanziamento delle eventuali nuove strutture,  nonostante che il governo abbia garantito l’erogazione di una quota annuale da  dedicare alle spese di gestione dei nuovi asili. Infatti la distribuzione dei fondi rimane problematica. 

Un’altra ragione che spesso gli Enti locali hanno sollevato è il timore di futuri oneri di parte corrente sui bilanci comunali , richiesti dal funzionamento delle nuove infrastrutture.

A tutto ciò si deve aggiungere la carenza, in molti comuni, delle professionalità in grado di elaborare i progetti e avere le capacità professionali di gestire la burocrazia,  la quale condiziona non poco le misure previste dal PNRR.

La P.A. è un sorta di pachiderma di difficile gestione. E’ una struttura impreparata a gestire questa fase,  avendo perso negli ultimi dieci anni oltre 200.000 lavoratori, pur partendo da un numero di addetti inferiore rispetto agli altri Paesi europei, con oltre 54 anni di età media.   

La cosa più logica sarebbe dovuta essere quella di procedere alle prime assunzioni nella amministrazione pubblica  affinchè intelligenze giovani,  anche con qualifiche alte, potessero essere inserite  nel motore di questa vecchia macchina, ormai da rottamare, per far fronte anche alla mole di lavoro che proviene proprio dalla gestione del PNRR

Anche in questo caso l’on Meloni ha fatto prevalere la sua impostazione ideologica di uno Stato forte. Infatti ha pensato  di fare solo tre mila assunzioni di cui duemila nella Pubblica Sicurezza. Si dirà che è poca cosa, ma sono questi piccoli segnali che logorano la convivenza civile.

Una recente ricerca dell’Ocse ha classificato 36 Paesi in base  alla capacità di realizzare grandi infrastrutture pubbliche. L’Italia si colloca al 31esimo posto. 

Le difficoltà che stanno emergendo sul PNRR non fanno che confermare questo imbarazzante posizionamento. Tutti i grandi progetti partono con una bugia: quella di realizzare le opere nei tempi e nei modi previsti. Gli esperti parlano di “una legge ferrea” delle infrastrutture  che produce aumento dei costi e ritardi di realizzazione.

Con  questo problematico retroterra, il Net Generation UE ha inaugurato una filosofia d’intervento ispirata alla razionalità di piano. Una rottura rispetto all’approccio flessibile finora conseguito. Per ottenere le risorse i Paesi membri hanno dovuto definire un cronoprogramma molto rigido nei tempi e nei contenuti . 

I 191,5miliardi  non verranno erogati tutti insieme. Ogni sei mesi la Commissione UE si occuperà del monitoraggio dei vari Piani Nazionali, e in base al rispetto delle scadenze verserà una rata di diversi miliardi.

In caso di scostamenti rispetto agli impegni assunti si può  perdere il diritto a ricevere una parte del finanziamento, la rata viene sospesa.

Il tema della flessibilità è diventato il motivo del contendere  tra Roma e Bruxelles, ma la  flessibilità che richiede la Meloni è già prevista dalla Commissione UE. Si tratta semplicemente di negoziarla. Come? Garantendo le riforme, la correttezza dei progetti e delle procedure per attuarli. 

Lo spazio c’è, purché si rimanga nello spirito del Recovey Fund ovvero:  risorse tante, in cambio di tanta serietà. Rinunciare ad una parte delle risorse per tenersi libere le mai vorrebbe dire tornare alla logica “facciamo da soli”, con due conseguenze immediate:  la prima quella di perdere il maxi finanziamento, erogato ad un tasso vantaggioso; la seconda di esporci al rischio di tornare marginali in Europa.

Ma a nostro parere esiste anche un altro motivo ancor più importante, che evidenzia le difficoltà di gestione del Piano anche da parte del governo Meloni.  

Per effetto delle riforme decise dall’UE, il Piano potrebbe rappresentare (i tempi ancora ci sono)l’opportunità di ripensare il modello di sviluppo economico e sociale del Paese, dei territori e dei Comuni.

Il primo rischio da evitare  è concentrare tutta la nostra attenzione solo sulle procedure, le tempistiche e sui poteri, ignorando le domande: a quale comunità si vuol dare vita con queste risorse? A cui si aggiunge un’altra domanda cruciale: quali sono i soggetti sono chiamati a dare risposte a queste domande? 

La soluzione necessaria è allargare il tavolo di progetto che ha permesso di sviluppare  una discussione collettiva e realizzato la condizione d’ includere oltre agli enti locali, tutti i soggetti che svolgono la loro attività sul territorio.

Questo è un aspetto centrale non solo per il metodo che si sarebbe dovuto perseguire, ma soprattutto  per la sostanza, perché avrebbe permesso di realizzare quella coesione sociale più volte sollecitata dall’UE e definire progetti utili alle comunità locali.   Ma si è fatto esattamente l’opposto!

A questo punto le pubbliche amministrazioni hanno tirato fuori vecchi progetti rimasti nel cassetto, o  spostato sul PNRR  progetti già avviati oppure opere già cantierabili. C’è stata una ubriacature di euro e oggi il  Paese ne paga le conseguenze. Abbiamo una valanga di soldi ma non sappiamo come spenderli.

Praticamente stiamo in una situazione di standby in attesa della terza rata che quasi sicuramente  sarà assegnata, dopo aver eliminati quei  progetti che la Commissione Europea aveva segnalato come non compatibili con i principi del PNRR.

Quello che bisognerebbe fare, anche in vista di un eventuale confronto con la Commissione UE,  è mettere a fuoco quanto si è fatto finora . Ad esempio,  non si conosce il dato di quanti sono i nuovi posti  degli asili nido realizzati (0-3 anni), lo stato d ‘avanzamento dei progetti in essere. E’ necessario svolgere un monitoraggio costante. E’ indispensabile avere informazioni tempestive ed esaustive per consentire un  effettivo controllo sull’attuazione del Piano.

La partita continua a essere complessa a Roma come a Bruxellese il sottosegretario Fitto  deve fare i conti con la scadenza della quarta rata di giugno 2023 c.a. e gli obiettivi che il governo vuole perseguire sono due, incrociati tra loro:  evitare il rischio di sforare il termine del 2026 e mettere in cantiere una serie di investimenti che faticano a rientrare nel calendario stretto del Piano. ( Vedi il Ponte sullo Stretto).

Il confronto si sta sviluppando intorno ad un aggiornamento del PNRR in relazione all’inflazione e all’aumento delle materie prime e l’inserimento del capitolo     Repower EU sull’energia.

L’Italia è chiamata a raggiungere  27 obiettivi entro giugno, ma il governo ha già manifestato chiaramente l’impossibilità di realizzare questi obiettivi

In questo contesto gli asili nido del PNRR rischiano di diventare  la battaglia campale intorno alla quarta  rata dei fondi UE e, più in generale, intorno alla giostra delle responsabilità  sui rischi di non attuare il  Piano.

Il 2023 per il PNRR sarà un anno decisivo, sia sul fronte delle riforme sia sul fronte dei cantieri. Tra i dossier a cui dovrà lavorare il governo ci sono i controlli fiscali automatizzati , la riduzione dei tempi di pagamento, ma anche la riforma del processo penale e la riforma del pubblico impiego. Bruxelles fa sapere che si può discutere tutto tranne che sulle riforme.

Come più volte abbiamo sottolineato il PNRR , nato in poche stanze e che continua  ad essere gestito centralmente in poche stanze, è stato redatto senza o con scarsa partecipazione della società civile, specie nelle fase progettuale, ma per essere attuato deve diventare una sfida collettiva del Paese.

 Perché questo avvenga non basta informare sulle misure o cosa devono fare  le strutture locali,  bensì bisogna avere la capacità di ascoltare e aprirsi alla co-progettazione degli interventi. 

La costruzione di una visione comune tra gli attori del Piano è un principio trasversale a tutte le missioni; sul territorio il PNRR prevede di stanziare, secondo diverse stime, fondi tra i 30 e i 60 miliardi divisi tra molteplici investimenti. 

Queste risorse  saranno affidate, attraverso processi partecipativi capaci di  programmare gli investimenti pensando ai modelli per la gestione futura dei servizi, individuando i bisogni a cui rispondere. 

Questa è l’unica condizione possibile per utilizzare al meglio  le energie vitali che sono presenti, e spesso di grande qualità, sui territori , affinché il PNRR diventi realmente uno strumento condiviso .

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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