PNRR “l’oggetto misterioso”.

                  

di Ugo Balzametti 

Un’occasione da non perdere

 Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nato dal NextGeneration Found dell’Unione Europea costituisce una della più grandi opportunità per intervenire e ricostruire il Sistema  Italia sia per l’ingente quantità di fondi che mette a disposizione, sia per i tempi di spesa che dovranno essere rapidi e trasparenti.

Il futuro della casa europea è legato al  Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano e alla sua attuazione.  Ormai da tempo il dibattito europeo è incentrato su due questioni determinanti: 

1) la revisione delle regole fiscali, ovvero il Patto di Stabilità (fiscal compact), se e come re-introdurlo dopo la sospensione  fino al 2023 per la pandemia;

2) il futuro del NextGGenerationEu, e nello specifico del Recovery and Resilience Facility, come programma one off,- eccezionale risposta ad un eccezionale evento oppure programma permanente con le dovute modifiche. Questa seconda ipotesi renderebbe stabile la capacità di emissione di debito pubblico comunitario .

Questi temi non solo vivono a livello europeo ma si intrecciano con i nodi socio-economici del nostro sistema Paese, il quale è diventato una specie di cartina di tornasole del successo o meno di questa neonata unione fiscale. La Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sulle possibili modifiche, mentre le cancellerie hanno iniziato a trattare  sulla sua nuova architettura.

In termini quantitativi l’Italia è il primo Paese beneficiato per circa 191.5 miliardi di euro. In termini qualitativi è il vero osservato speciale, date le riforme strutturali e gli investimenti che da tempo necessita per  rilanciare la sua economia, ormai anemica da vent’anni.

Il NGEU avrà un ruolo fondamentale per l’Italia per due motivi: allenterà la pressione sui conti pubblici e sarà l’occasione per affrontare i problemi strutturali dell’economia indigena. 

Il primo punto ruota attorno alla sostenibilità del debito pubblico. I fondi NGEU (leggi PNRR) permetteranno di sostenere una parte del debito, quella relativa agli  investimenti, alleggerendo così il ricorso ai  mercati finanziari.

Il secondo aspetto chiama in causa direttamente l’Italia in quanto negli ultimi due decenni la nostra economia è stata poco dinamica anche rispetto a Paesi comparabili. Il programma vincola gli Stati ad usare le risorse per investimenti, che non possono essere utilizzate per la spesa corrente.

C’è da dire che l’Europa ha spinto sempre affinché le risorse distribuite  non siano impiegate solo ed esclusivamente per la crescita, ma anche per conseguire maggiore giustizia sociale. 

Tratteggiato questo quadro generale vediamo come tutto ciò si è tradotto e sia coerente con le scelte che i governi italiani hanno fatto a partire dalla crisi pandemica, di come nel medio-lungo periodo le riforme potrebbero essere più importanti degli stessi fondi.

Il combinato disposto della crisi pandemica e di quella economica ha aperto il vaso di Pandora ed ha evidenziato come le disuguaglianze, in tutte le loro declinazioni, sono elementi costitutivi del mondo in cui viviamo.

Il perché di questo vertiginoso declino per il nostro Paese  risiede in parte nell’impossibilità di venire incontro, per il tramite della politica fiscale nei momenti di crisi ciclica, alle difficoltà di imprese e persone, generando chiusura di aziende, pessimismo, isolamento individuale

Che cos’è il PNRR ?

A giugno 2021 la Commissione europea ha assunto i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) degli Stati membri e, per la prima volta,  ha emesso debito comune che ha raccolto sui mercati risorse destinate alla  realizzazione di riforme funzionali alla rinascita economica dei Paesi. dell’Unione.

L’obiettivo finanziario è stato  quello di mettere a disposizione delle economie dei 27 Paesi dell’euro, uno stanziamento di 750 md, di cui 360 miliardi sono fondi che dovranno essere rimborsati e 390 md di sovvenzioni a fondo perduto.

L’Italia potrà contare su 191,5 md, di cui 68,9 di aiuti a fondo perduto e 122,8 in  prestiti (è la cifra più alta tra tutti i 27 Stati dell’Unione). Si aggiungono 30 md da un fondo  complementare  a carico della finanza nazionale,  e anche 13 miliardi di React-EU programma mirato alla realizzazione di politiche di coesione nel giro di due anni  per un totale di 234 md.

I fondi del Piano sono ripartiti in 16 componenti e 6  missioni : digitalizzazione e competitività (40 miliardi), rivoluzione verde (58), mobilità sostenibile (25) istruzione e ricerca (31), coesione (20), salute (15) che si muovono lungo tre direttrici, innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale.  Si prevede di realizzare 63 riforme e 527 milestone e target che sono gli obiettivi e traguardi che il Piano dovrà realizzare.

Il PNRR è un documento legale  che ogni Stato dell’Unione ha dovuto sottoscrivere per accedere ai fondi del Recovery plan concordati con Bruxelles.  Il testo contiene  in modo dettagliato come i governi decideranno di spendere le somme stanziate, verso quali obiettivi, con quali scadenze, con quali impatti previsti, e quali riforme si impegna a realizzare per accelerare la ripresa  economica-sociale dei 27 Stati membri.

A questo punto è lecito domandarsi: riuscirà il PNRR a determinare una ripresa del processo di sviluppo e in generale del sistema Paese e in particolare del Mezzogiorno che nell’ultimo ventennio ha avuto le maggiori difficoltà?  

Il PNRR contiene interventi che certamente potranno produrre effetti positivi, tuttavia essi mirano più a una modernizzazione dell’Italia che ad una sua trasformazione e alla rimozione dei vincoli strutturali del suo sviluppo; ispirato da una grande fiducia nelle capacità delle forze del mercato a determinare uno strutturale aumento della produttività e dell’occupazione.

Le questioni come la precarietà e le disuguaglianze sono davvero trattate in maniera marginale, riproponendo il mantra delle tre C: competitività, concorrenza, competizione, senza tener conto di tutto quello che le politiche, già  sperimentate, hanno prodotto nel corso di questi anni: rendere: più ricco chi è già ricco, rendere più povero chi è povero.

Per capirlo è bene ricordare, in generale, che la discussione intorno al Piano è ed è  stata piuttosto modesta. Circostanza molto negativa, tanto alla luce della sua importanza quanto del fatto che le modalità del processo di attuazione saranno decisive per determinarne gli effetti.

Il PNRR nella sua  stesura finale è stato elaborato dal Presidente del consiglio Draghi, insieme al circolo dei suoi tecnici, ha la connotazione di un impianto tecnocratico e liberista, pensato e deciso  “da un uomo solo al comando”. 

Una scelta alquanto discutibile che ha impedito agli estensori sia di giovarsi di competenze diffuse nel Paese, sia di condividere le decisione prese con le forze sociali e più in generale con  i cittadini. 

La nostra tesi è che per garantire un cambio di passo nell’economia non bastino nuove risorse, ma serva un nuovo ruolo d’indirizzo dell’azione pubblica: servono una regia e un cambiamento nelle istituzioni.

L’assunzione di responsabilità da parte del governo centrale in carica richiederebbe intanto un’ampia condivisione di una strategia da parte delle imprese, del sindacato, dei lavoratori, della società civile circa un’idea precisa di come  si colloca l’economia italiana nel contesto globale, di come creare posti di lavoro di qualità e raggiungere gli obiettivi sociali e ambientali che si vogliono perseguire.

In questo contesto la chiave di volta per garantire sviluppo e sostenibilità economica,  non può passare solamente attraverso la ricerca di lavoratori sempre più specializzati, ma passa anche dalla trasformazione dell’organizzazione del lavoro attraverso l’automazione e la digitalizzazione 

Fin da subito il PNRR è apparso più come sommatoria di interventi da realizzarsi nel breve periodo, piuttosto che come una vera e propria agenda di sviluppo a medio e lungo termine: su 134 investimenti, 86 valgono meno di un miliardo di euro

Circa le misure a sostegno del sistema produttivo, il Piano ha puntato su strumenti già esistenti (Transizione 4.0, contratti di sviluppo ) senza inserirli in uno quadro organico che fornisca agli investitori, esteri e nazionali precisi indirizzi sugli ambiti e sulle modalità d’intervento previsti dal Piano ,

Tra le critiche più pesanti sollevate al PNRR, ad esempio, c’è proprio la mancanza di  conformità con le linee guida indicate dall’EU che  prevedono, infatti, che ogni riforma strutturale e linea di intervento delle 6 missioni strutturali venga declinata secondo una stima precisa degli obiettivi quantitativi (target) che si intendono ottenere. 

La Commissione inoltre si raccomanda che per garantire la responsabilizzazione dei soggetti interessati è fondamentale coinvolgere tutti i portatori d’interessi tra cui le parti sociali.

Purtroppo non è questa la prassi perseguita dal governo italiano. Solo un monitoraggio di elevata qualità può rendere efficace il coinvolgimento richiesti dalla Commissione,

Abbiamo bisogno di una decisa e coraggiosa ripartenza, vale a dire di un tempo dedicato non solo alla ricostruzione delle economie colpite dalla recessione, delle infrastrutture che consentano un nuovo sviluppo, ma di riconoscersi anche come comunità civile, come persone. Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte, anche  grazie a media compiacenti, si vuole imporre il dogma di fede neo liberista. 

L’Europa non regala nulla

Alla base di questo percorso intrapreso dai 27  Paesi dell’Unione vi è stato un accordo operativo con il quale ogni Stato ha sottoscritto insieme alla CE. In tale contesto si prevedevano incontri trimestrali per verificare gli stati d’avanzamento dei progetti’ programmati nel PNRR nazionali, e con riscontri finali ogni  sei mesi-

La dimensione europea resta centrale. Nel corso del 2022 l’UE dovrà definire le regole fiscali sospese per la pandemia fino al 2023.. La vecchia impostazione – austerità tagli della spesa e del debito pubblico – continua a dominare il dibattito europeo, anche se l’intero Patto di Stabilità dovrebbe essere riformato.

I piani di riforme e gli investimenti dei singoli Stati dovranno, sistematicamente, essere  monitorati per soddisfare i target intermedi e finali definiti con la Commissione. Non ultimo dovranno rispondere dei risultati attesi.  Draghi ha sottoscritto 527  “raccomandazioni” da qui al 2026.

Ma la grande novità è che l’Europa, per la prima volta, si indebita essa stessa e gira queste risorse agli Stati membri che a loro volta dovranno in buona parte restituire. Questi fondi non sono un regalo, ma rientrano nel ciclo di coordinamento delle politiche di bilancio a livello europeo.

Il Piano prevede una serie di step  finalizzati alla verifica degli stati d’avanzamento dei progetti presi in esame; l’Europa “raccomanda” vari parametri d’intervento e, solo dopo un’attenta  verifica, la CE  procede alla erogazione dei fondi. Le istituzioni europee, infatti, in caso di gravi inadempienze o ritardi potranno bloccare l’erogazione dei fondi. Quindi il giudizio non è solo tecnico ma anche politico.

Per l’Italia il percorso è sostanzialmente blindato, al riparo per quanto possibile dalle variabili,  a volte impazzite, della politica interna . Insomma Bruxelles ” marca stretto” Roma, e sempre di più nitida emerge la somiglianza  con la Troika che abbiamo conosciuto nel 2011 in  Grecia.

Nel concreto è stato  firmato  un do ut des: io (UE) : ti do fondi per far fronte  alla drammatica crisi che si sta vivendo, e tu (Italia) ti impegni a mantenere il rientro del deficit-Pil con tagli di spese e aumenti della tassazione.

Certo è che la Commissione europea, nel caso dell’Italia, vigilerà su ogni euro speso dal Governo Meloni. Questo vuol dire che, se il nostro  Paese volesse  accedere ai fondi comunitari, chiunque siederà a Palazzo Chigi, dovrà gestire riforme perseguendo una strada predefinita nei  contenuti, nei dettagli, nei tempi. fino al 2026,  Qualora non vengano rispettati gli impegni assunti, la CE può decidere la “non erogazione” delle quote riferite al semestre in esame. 

Il governo inoltre nel 2021  ha approvato le nuove regole in materia di appalti con l’obiettivo di agevolare al massimo il percorso delle riforme.  Lo scontro che si era aperto con il sindacato e all’interno della stessa maggioranza su i subappalti è stato risolto con un compromesso grazie al quale si è riusciti a impedire la riproposizione del “massimo ribasso” .   Praticamente “un libera tutti”  per tre anni.

monitoraggio civico

Ormai il PNRR è decollato, è entrato nella fase attuativa e le organizzazioni della società possono influenzare positivamente la realizzazione degli interventi, rendendoli più vicini ai bisogni delle comunità locali. Come? Monitorando i progressi realizzati.

Grazie a questo strumento, l’impiego dei fondi del PNRR potrà beneficiare del legame, oggi  articolato, tra amministrazione e cittadinanza.  Essi possono contribuire a fare in modo che il PNRR sia uno strumento strategico non solo per la rinascita socio-economica, ma anche per una maggiore giustizia sociale. 

Il monitoraggio civico è un metodo di verifica  che facilita la circolazione delle conoscenze o  dei dati necessari a realizzare buoni progetti. Facilita la responsabilizzazione dei cittadini;  sollecita gli amministratori, specie a livello locale; è utile per realizzare una seria di valutazione dei risultati.

L’applicazione di questo strumento, tuttavia, rimane ardua se la Presidenza del Consiglio non rende disponibili le informazioni che consentano a tutti di intervenire in tempo reale e conoscere dove, quando e come i singoli progetti verranno realizzati, a quali obbiettivi rispondano, cosa verrà prodotto e da chi.

Spesso non viene data alcuna indicazione sullo stato d’avanzamento dei diversi progetti finanziati. Non sono specificate né la fonte da controllare né quali sono i meccanismi di verifica, attraverso i quali un adempimento è stato eseguito con successo entro i tempi stabiliti.

Del resto la prima scadenza del PNRR, quella del Decreto Semplificazioni, si è dimostrata una occasione mancata, in quanto il governo Draghi si è dimostrato più sensibile alle pressioni delle lobby consolidate, invece cha a quelle della società civile che non hanno interessi economici da tutelare.

Ma perché se le informazioni ci sono non vengono rese pubbliche? Una  delle possibili spiegazioni dipende dal fatto che spesso l’impegno per la trasparenza viene visto ancora oggi come una perdita di tempo e uno spreco di energie.

 Per contrastare le indebite  pressioni  esterne è di fondamentale importanza acquisire strumenti per pianificare e organizzare in modo efficace e trasparente le attività di rendicontazione, in quanto l’Europa chiede un cambio di paradigma rispetto al tradizionale monitoraggio degli investimenti.

Dalla rendicontazione della spesa si passa ad una rendicontazione degli obiettivi e delle performance, ovvero gli enti locali dovranno monitorare non solo le risorse impiegate,, ma anche gli obiettivi specifici individuati nel PNRR.   L’articolo 24 del Piano prevede che si  potranno presentare richieste di fondi solo dopo aver raggiunto i “traguardi e “gli obiettivi” indicati nel PNRR.

A tale proposito le scadenze possono essere di due tipi: i target – obiettivi e le milestone – traguardi. Per valutare il raggiungimento dei primi si utilizzano indicatori quantitativi, come il numero delle imprese, o  quante persone assumere nella Pubblica Amministrazione. Le seconde  si caratterizzano per una componente più qualitativa come l’approvazione di atti normativi o amministrativi.

Il confronto politico di questi giorni sui ritardi nell’attuazione del PNRR, sulle responsabilità e sulle misure correttive da attuare., come il governo Meloni ha più volte sollecitato, è difficilmente comprensibile dall’opinione pubblica.  Quando si denuncia il ritardo della realizzazione di un Progetto, il cittadino si domanda, in ritardo rispetto a che cosa?  Quali sono gli interventi più in affanno? E di chi sarebbe la responsabilità?  Le cittadine e i cittadini sanno poco o nulla dei progetti decisi  ad esempio nella propria citta, o nel proprio quartiere.

Il problema è che l’informazione ufficiale sullo stato d’avanzamento del Piano è, come più volte denunciato, per molti aspetti incompleta,  poco trasparente. o assente.  Da una parte perché si limitano  al livello regionale, senza alcun riferimento comunale e provinciale, che è essenziale per governare i divari all’interno della stessa regione..   

Mancano, , inoltre tutte le informazioni relative ai progetti che vengono concretamente finanziati dal PNRR nei territori.

Il sito governativo Italia Domani è stato presentato ad agosto dello scorso anno e dovrebbe essere il sito in cui il Governo rende conto ai suoi cittadini dello stato di avanzamento del Piano, ma è aggiornato al 31 dicembre 2021 e mappa solo 5.246 progetti su quasi 70.000. 

Il portale ReGis è la piattaforma  .promessa per monitorare l’attività delle amministrazioni centrali e territoriali ma non è accessibile dalla cittadinanza

Tuttavia oggi, anche grazie alle tante sollecitazioni venute dalla società civile, ci sono alcuni elementi positivi che, almeno in parte, rispondono a quell’esigenza di trasparenza che la società civile ha sempre sollecitato.

Comunque la scelta più corretta rimane sempre che le informazioni elaborate per la Commissione  EU dovrebbero essere accessibili a tutti i cittadini, in modo chiaro e trasparente da poter essere   riutilizzabili.

PNRR: come lo stiamo spendendo

 A differenza degli altri Paesi abbiamo “messo tutte le uova nel paniere” utilizzando tutti i prestiti europei del Ngeu. Un  programma così ampio in un tempo limitato può produrre un grande effetto. 

Ma quel che sorprende è che difronte a questo impegno così gravoso, tutto praticamente concentrato sulle amministrazioni pubbliche, non si sia pensato di rafforzarle  Anzi il Piano prevede assunzioni a termine nella Giustizia, poco o niente a livello locale. Il bando per il reclutamento di personale straordinario per le amministrazioni del Sud è stato un fallimento. Si cercava personale specializzato, ma veniva offerto solo lavoro a tempo determinato.

E’ lecito prevedere che ciò determinerà non solo rischi nelle tempistiche attuative, ma anche possibili problemi nella qualità degli interventi selezionati.

Parlare di PNRR non significa però parlare solo di fondi che arriveranno per l’Italia, ma dovrebbe  soprattutto parlare di infrastrutture, servizi, progetti, che, se non realizzati, lascerebbero l’Italia al palo rispetto al resto d’Europa.

La maggior parte dei traguardi raggiunti finora sono stati di natura prevalentemente normativa e/o procedurale. A partire dal 2023 cominceranno a prevalere i target consistenti in risultati effettivamente misurabili, in lavori concretamene eseguiti, che sono una sfida assai più difficile

Infatti  un conto è  scrivere  che verranno ridotti del 40% i tempi del processo civile, altro è vedere, un anno dopo, se effettivamente questa riduzione c’è stata.   Una vera “rivoluzione copernicana” per le amministrazioni locali abituate al controllo del processo e non del risultato.

L’Italia ha passato a pieni voti l’esame di Bruxelles del PNRR.  Tutti sono contenti, ma siamo sicuri che il Piano e la valutazione della Commissione EU siano davvero positivi?.

E’ opportuno ribadire che nessuno temeva valutazioni negative sul Piano Italia , poiché era alquanto improbabile che ci potesse essere qualche intoppo sul “via libera” della Commissione nei confronti  di un Recovery Plan presentato da una persona che nelle istituzioni europee è di casa, come Mario Draghi. Più che esaminare il contenuto, Bruxelles ha acquisito la garanzia di chi lo ha presentato.    La Commissione EU ha dato il via libera alla prima e alla seconda rata. 

Più che esaminare gli aspetti quantitativi del Progetto, Bruxelles ha voluto verificare la coerenza delle scelte  del governo italiano, in termini di riforme da realizzare. La Commissione EU ha dato quindi il via libera alla prima e alla seconda rata . 

Infatti sono stati raggiunti i 51 obiettivi relativi al secondo semestre 2021 e i 44 obiettivi relativi al primo semestre del 2022 così da incassare le prime due rate per un totale di 24,1 mld e 24,9 mld.

Un quadro puntuale dello stato di attuazione del PNRR lo ha presentato la Corte dei Conti che ha pubblicato gli esiti del controllo svolto sull’attuazione degli interventi  relativi alle prime due scadenze

La Corte ha verificato il conseguimento pressoché totale degli obiettivi previsti. L’attenzione si sposta sulla loro esecuzione, perché il giudizio complessivo è fissato per la fine del 2022.

Solo nel corso 2022 l’Italia ha conseguito 100 obiettivi per il PNRR, di cui 83 milestone e 17 target. Di queste 45 , come detto, sono state conseguiti entro il 30 giugno e 55 dovevano essere realizzati entro il 31 dicembre 2022 cui è collegato un rimborso pari a 21,83 miliardi di euro. 

In  questo caso il lavoro della Commissione EU è stato meno agevole in quanto se da un lato il Governo, per mezzo dell’ on. Fitto, preannunciava di aver realizzato tutti i 55 progetti, dall’altro non risultava ben chiaro alla Commissione  come si fosse raggiunto questo obiettivo. 

In base  al monitoraggio di Open Polis e dell’Osservatorio PNRR del Sole 24ore,  ci sarebbero ancora 14 scadenze Ue su 55 che non sono state rispettate. Alla fine  il governo italiano ha incassato il giudizio globalmente positivo della commissione UE. Non è arrivata la bocciatura, ma neanche una promozione. 

La terza rata è stata licenziata con importanti richiami. Bruxelles, infatti, ha confermato le perplessità sulle norme relative al tetto sul contante, il ritardo sulla riforma fiscale, sul taglio alla spesa per le pensioni.

Ai ritardi dei traguardi e obiettivi si aggiunge quello relativo alla capacità di spesa. Stando all’ultima nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il Governo ha riconosciuto che i soldi spesi per gli investimenti, legati al PNRR, sono stati meno di quanto preventivato. 

Secondo la Nadef del 2022 veniva indicato che nel periodo 2021-2022 erano stati spesi solo 5,5md. sui 18,5 preventivati inizialmente nel Def 2021. Il 2022 si chiuderà con una spesa di 15.000 md.  rispetto ai 28,7 md. e sui 29,4  ipotizzati nel Def 2022.

Questo significa che molti cantieri non sono ancora partiti e che l’Italia dovrà velocizzare i tempi per riuscire a concludere tutti i progetti entro il 2026, come previsto dal PNRR.

Come ulteriore campanello d’allarme, il ministro Fitto ha dichiarato che la spesa a fine anno sarà distante da quanto previsto per il periodo 2020-2022.

Beffa per il Sud: 82 MLD chi l’ha visti ?

Le lancette dell’orologio corrono e l’Italia deve dimostrare di riuscire a spendere bene ed entro le scadenze, purtroppo tutta questa velocità sta andando a discapito della trasparenza e della corretta informazione sui dati del PNRR .

Per rendere più efficace la nostra analisi è opportuno interrogarsi sul potenziale impatto che queste risorse hanno sulle disuguaglianze territoriali e sul benessere dei cittadini, soprattutto di quelli che vivono in aree più periferiche e, per molti versi marginalizzate. Le pari opportunità territoriali sono una delle priorità trasversali del PNRR. 

Infatti nei comuni di piccole dimensioni, soprattutto nel Sud, si può riscontrare una mancanza di risorse e capacità amministrative nel gestire molteplici progetti in un orizzonte temporale limitato.

Cruciali appaiono due elementi: il primo è la governance che deve essere multilivello, cioè rendere compatibile il ruolo delle autorità centrali con una adeguata attenzione per i governi locali al fine di concertare  interventi dal basso verso l’alto e viceversa. Il secondo è la partecipazione della società civile.

230 miliardi  di spesa pubblica per un periodo di 6 anni è senza dubbio una grande occasione per il Sud. Rappresentano una massa  di risorse finanziarie per sostenere processi di innovazione.

Tuttavia, come è noto, la spesa pubblica è soltanto una delle condizioni per avviare processi di trasformazione. Altri fattori sono altrettanto importanti per sostenere cambiamenti duraturi: la qualità degli interventi, l’efficacia e l’efficienza della spesa, le integrazioni delle diverse fonti finanziarie. 

Il governo per attribuire le risorse previste dal PNRR ha deciso che verranno assegnate attraverso bandi a cui possono partecipare imprese o Enti locali presentando progetti messi in competizione tra loro e senza il vincolo della quota per il Sud. 

Il bando per il reclutamento straordinario di personale  per le amministrazioni meridionali è stato un fallimento, in quanto si cercava personale specializzato, ma gli veniva offerto solo  un lavoro a tempo determinato. Non è questa la strada. La strada da seguire, vale per tutta l’Italia, è quella di un vero piano di assunzioni pubbliche in grado di rispondere alle esigenze del Paese.

Scorrendo alcuni indicatori di qualità relativi agli enti locali, scopriamo che i dipendenti del comune  di Napoli si sono ridotti del 50%-; a Palermo e Catania solo tre dipendenti comunali su 100 hanno meno di 50 anni.

Naturalmente le difficoltà degli Enti locali meridionali sono pregresse e imputabili al depauperamento che si è fatto lungo l’arco di un ventennio delle pubbliche amministrazioni con il blocco del turn-over e la decurtazione della spesa pubblica che ha penalizzato maggiormente il Sud.

Il difetto principale del PNRR è quello di essere un Piano top-down, un assemblaggio “dall’alto” per sommatorie di azioni, interventi senza una diagnosi e un progetto di cambiamento: un piano “tecnico” di un governo “tecnico”.

Ma come per tutti i piani top down, non è da sottovalutare la reazione  da parte delle classi dirigenti che possono vivere  la nuova realtà con  estraneità. e frustrazione.

Sotto questo profilo,  il PNRR come sottolinea Gianfranco Viesti è “un progetto di efficientamento di quel che esiste oggi, con scuole tecnologicamente più dotate, università più ricche di laboratori, città  un po’ più green, ferrovie e strade un po’ più veloci e sicure, imprese con macchinari più sofisticati , “borghi” con opere pubbliche  e patrimoni edilizi meno fatiscenti”. Ma con  una crescita  nazionale lenta.

Per il Sud il rischio è ancora più grande, poiché la presenza di istituzioni di scarsa qualità, tanto più se orientate a conseguire benefici dalla status quo, è strutturalmente ostacolo allo sviluppo e all’innovazione alimentando il prosperare di una classe dirigente locale interessata solo a  consolidare consensi elettorali e rendite di potere . Questa è la storia pluriennale delle politiche a sostegno del Mezzogiorno.

A confermare quanto possa pesare l’intervento esterno, il Governo ha deciso di  investire non meno del 40% delle risorse territorializzabili del PNRR, pari a circa 82 md., nelle otto Regioni del Mezzogiorno. 

 Sicuramente è una cifra importante, anche se non è chiaro se tutti questi investimenti siano  nuovi, o si aggiungono a fondi strutturati già esistenti.  In altre parole sarebbe opportuno chiarire quanti di questi 82 mld rifinanziano al Sud progetti  già finanziati con risorse comunitarie o nazionali. Tuttavia una ricostruzione degli interventi inclusi in tale cifra non è disponibile nel Piano  né è possibile ricavarla.

C’è un altro” piccolo” problema: gli 82 mld al Sud nel testo ufficiale del PNRR non ci sono.

Cerchiamo di capire: come è possibile?

L’obiettivo del 40% è tutt’altro un risultato acquisito, in quanto analizzati i dati disponibili, compresi anche quelli inviati a Bruxelles, si giunge alla disarmante conclusione che le risorse  al Sud sono 22 e non 82 miliardi, cioè il 10% del totale. Se si applicassero i criteri dell’EU al Sud a questo spetterebbe il 70% del totale (circa 145 miliardi).

Questo perché all’interno del PNRR, come era logico sospettare, questi 82 mld rimangono una desolante promessa perché si tratta “di risorse che “ non hanno collocazione territoriale predefinita”. Vale a dire che se non s’impongono dei vincoli tassativi, questa quantità di risorse andrà a finire dove l’economia è più solida e ci sarà più convenienza a investire.  Sicuramente non al Sud. 

In pratica l’allocazione di questi “fondi vaganti” dipenderà in gran parte dalle norme attuative che verranno definite dai diversi Ministeri competenti.

Un altro aspetto  penalizzante per il Mezzogiorno è  quello dei bandi individuati dal Governo per investire le risorse su base competitiva.  Nella stragrande maggioranza dei casi, i beneficiari sono i Comuni, i quali dovranno presentare progetti.

Con la colata di spesa pubblica relativa al PNRR che interesserà il Sud  ci si aspetterebbe che alla fine del 2026 si abbiano assetti infrastrutturali più  evoluti, un’estensione e un rafforzamento delle strutture e dei servizi di cittadinanza, una più robusta dotazione di servizi scolastici e sanitari, abitazioni più sicure e un più basso impatto ambientale.

Probabilmente ci troveremo invece di fronte ad un Mezzogiorno nell’insieme migliore di quello odierno ma altrettanto probabilmente  il Sud del 2026 continuerà a mostrare i caratteri della dipendenza, della precarietà produttiva e occupazionale, dell’emigrazione, della distanza dalle regioni più sviluppate d’Europa perché, ad oggi, gli indirizzi del PNRR vanno in questa .direzione.

I più ottimisti credevano che saremmo usciti dalla crisi pandemica e da quella economica meglio di come ci eravamo entrati. Le vie intraprese fin qui ci portano ad ipotizzare la riproposizione delle vecchie logiche con una società ancora più disuguale, dominata da logiche  che sono quelle del profitto, della competizione esasperata, del dogma unico e sacro del mercato e della concorrenza.

Dobbiamo riconoscere che gli anni che abbiamo alle spalle hanno imbevuto la cultura collettiva di messaggi derivanti dall’ideologia neoliberista dominante, costruendo una narrazione non solo politica, ma anche sociale in cui vengono riproposte  le vecchie logiche di cui abbiamo misurato gli effetti, con una società ancora più disuguale, dominata dalla filosofia del profitto, della competizione esasperata, del dogma unico e sacro del mercato e della concorrenza.

Per una autentica ripartenza, vale a dire di un tempo dedicato non solo alla ricostruzione delle economie colpite dalla  recessione economica e pandemica, e delle infrastrutture che consentano un nuovo sviluppo, è indispensabile ricostruire  la comunità  civile per riconquistare quel protagonismo che fino ad oggi le stato negato.

Basterà la mobilitazione delle coscienze, degli uomini e delle donne a battere e superare le vecchie logiche ?

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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