Valori e disvalori secondo Josè Angel Lombo

Che il Papa Francesco fosse specialmente sensibile alla realtà concreta e più specificamente al mondo dei lavoratori, era realtà ormai conosciuta. E che fosse persona diretta che non ama troppo i giri di parole, non era nascosto a nessuno. Ma nella sua recente visita allo stabilimento Ilva, durante il viaggio a Genova, ha puntato il dito verso una questione molto più profonda delle condizioni esistenziali – già di per sé drammatiche – dei lavoratori metalmeccanici.

Il contesto era particolarmente interessante ed emblematico, dal momento che contava sulla presenza di imprenditori, rappresentanti sindacali, impiegati e anche di persone disoccupate. In un certo senso si poteva considerare un campione dell’intera società italiana (e non solo).

 

La trasformazione dei valori del lavoro

A un certo punto, un lavoratore ha fatto un brevissimo intervento. Non si trattava di una domanda, ma della semplice descrizione di una situazione. Ma nel caso che ci occupa, il sito dice semplicemente così: “un lavoratore” (per la precisione: “che fa un cammino di formazione promosso dai Cappellani”), senza indicarne il nome. L’impressione che questa persona incarni un sentire universale è assai rafforzata da questo anonimato. E, in effetti, il suo brevissimo intervento è di grande spessore. Dice così: “Non raramente negli ambienti di lavoro prevalgono la competizione, la carriera, gli aspetti economici mentre il lavoro è un’occasione privilegiata di testimonianza e di annuncio del Vangelo, vissuto adottando atteggiamenti di fratellanza, collaborazione e solidarietà. Chiediamo a Vostra Santità consigli per meglio camminare verso questi ideali“.

A prima vista, potrebbe sembrare un confronto fra hard skills e soft skills. Niente di più lontano dalla realtà, come dimostra la risposta del Pontefice.

Lavoro e competenza interna dell’impresa

Anzitutto il Papa approfondisce le osservazioni del suo interlocutore, rilevando il veloce cambiamento dei valori del lavoro, che sono stati sostituiti progressivamente da quelli della grande impresa e della grande finanza. Punta il dito così su due di questi valori – in realtà, disvalori: la competizione interna e la meritocrazia.

In effetti, oggi si promuove la competizione all’interno dell’impresa, invece di puntare sulla cooperazione, la mutua assistenza e la reciprocità. “L’accento sulla competizione all’interno dell’impresa, oltre ad essere un errore antropologico e cristiano, è anche un errore economico”, dirà il Pontefice. In altre parole: è anche un approccio fallimentare dal punto di vista economico, in quanto indebolisce i rapporti di fiducia che stanno alla base della stessa impresa, compromettendone la sostenibilità. Così conclude il ragionamento: “quando un’impresa crea scientificamente un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione fra loro, magari nel breve periodo può ottenere qualche vantaggio, ma finisce presto per minare quel tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione”.

Lavoro e meritocrazia

Il secondo disvalore cui fa riferimento Papa Francesco è la meritocrazia.Da una parte, la meritocrazia si fonda ovviamente sul merito, e questo sembra avere una valenza morale propria, che richiama specificamente la giustizia. Così intesa, l’idea di merito è inseparabile dal lavoro e dall’azione umana in generale: si merita quello che spetta a quello che si fa.

Questo scambio dei “meriti morali” per “qualità circostanziali” – un vero quid pro quo – interpreta i talenti delle persone non come doni, ma come mezzi per determinare “un sistema di vantaggi e svantaggi cumulativi”. A partire da qui si sviluppano almeno due conseguenze.

Da una parte, si rende possibile una strumentalizzazione ideologica della meritocrazia, vale a dire il suo impiego come strumento “eticamente legittimato” per giustificare la diseguaglianza. Ma la diseguaglianza -non la diversità -, considerata in modo radicale, non è altro che ingiustizia.

D’altra parte, questo rivestimento da moralità di ciò che è invece meramente circostanziale non è operato soltanto in senso positivo – pretendere di avere meriti in ragione della propria situazione -, ma anche negativo, e cioè colpevolizzando la sventura o le condizioni svantaggiate di alcune persone, ragionando in questo modo: “io merito la ricchezza che ho, tu meriti la povertà che hai”.

Il problema è che una marginalità sempre crescente rende impossibile la partecipazione sociale e insostenibile l’economia (impedendo, per esempio, la proporzione fra la produzione di beni e la capacità di acquisto da parte di un numero crescente di consumatori). Siamo di fronte di nuovo a un approccio fallimentare dal punto di vista non soltanto antropologico ed etico, ma anche economico.

(6 luglio 2017)

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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