Un altro focolaio in Fisac Cgil

                                     (Immagine presente nel sito della Fisac Cgil)

Abbiamo già affrontato in questi mesi le fibrillazioni avvenute nel sindacato dei bancari. A partire dall’azzeramento del suo quadro dirigente il complesso degli avvenimenti ci narrava fin da subito, non solo di un gap organizzativo e politico ma quanto di una frantumazione progressiva del quadro di rappresentanza complessivo.

Pertanto, il termine “focolaio” che abbiamo usato nel titolo ci deve dare solo la misura della gravità e della distanza che sempre più oggi separa il sindacato dalla sua base.

Quindi niente sottovalutazione ma assoluta capacità di contestualizzare queste vicende, come quelle descritte nella lettera che oggi vi presentiamo non dimenticando di riflettere  sulla centralità del bacino produttivo da cui nascono queste iniziative.

Cari compagni,
siamo i delegati Cgil romani della BNL.
Come tutti sapete la situazione “pandemica” complessiva sta peggiorando a vista d’occhio. Da qualche giorno anche i grandi giornali devono ammettere ciò che chiunque abbia occhi per vedere (e voglia vedere) sa. Ovvero che l’intera struttura sanitaria nazionale rischia seriamente di andare dritta verso un nuovo collasso.
Adesso si “scopre” che mancano nuovamente (!!!) medici e infermieri, che le strutture di terapia intensiva sono ancora una volta prossime alla saturazione, che le strutture mediche di base per la prevenzione sono dimensionate al 50% del necessario, che rischiano di scarseggiare i tamponi e che anche il “classico” vaccino anti-influenzale” è in dosi insufficienti. Ma si scopre anche (si vede proprio che le grandi firme giornalistiche non vivono nelle periferie urbane) che nei mezzi pubblici si viaggia ammassati come le sardine e che nelle scuole la situazione in realtà non è per nulla tranquillizzante, anzi.
Il tutto mentre, ciliegina sulla torta, tante casse integrazioni “covid” vengono ancora pagate con gravi ritardi.
Inoltre, ormai dovrebbe essere chiaro che il virus NON colpisce tutti nella stessa maniera. I Trump, Briatore e i Berlusconi, curati velocemente e a puntino, ne vengono fuori velocemente e “alla grande”. Mentre gli altri… beh gli altri si arrangino pure, finché c’è qualche posto negli iper-affollati ospedali d’accordo, poi che Dio la mandi buona, e se “non la manda buona” ci sono sempre le fosse comuni made in Usa per neri, homeless, donne sole e anziani poveri, ci sono sempre (per ora dietro l’angolo, ma coi motori caldi) i camion militari pronti a riprendere la loro triste azione come in primavera a Bergamo e poi c’è sempre chi ci consola spiegandoci che in fondo in fondo però siamo sempre tutti sulla stessa barca.
Dinnanzi a tutto ciò noi pensiamo che sia giusta, necessaria e doverosa ogni iniziativa sindacale finalizzata a far rispettare e/o ad imporre il pieno rispetto delle norme igieniche e anti-covid (intese in senso ampio) nei luoghi di lavoro. In questi mesi ci siamo mossi in tal senso e (anche per un insieme di altre fortunate concause) siamo riusciti ad ottenere che nel “nostro” ambiente lavorativo le norme di sicurezza siano discretamente applicate.
Allo stesso tempo però ci siamo resi conto di come le iniziative “aziendali” da sole non bastano. Anzi i loro risultati rischiano di essere completamente (o quasi) vanificati se la sicurezza e le norme igieniche non sono rispettate sul “territorio”.
Ci spieghiamo meglio. In varie grandi aziende (come la nostra) ci sono i dispenser per igienizzarsi, vengono fornite le mascherine, gli ambienti sono discretamente sanificati e c’è un ampio uso del lavoro da remoto.
Bene. Ma tutto intorno (per limitarci a due importanti esempi) abbiamo:
trasporti pubblici rarefatti e iper-affollati, trasporti che nelle ore di punta diventano dei veri e propri carnai;
scuole che, ad onta della propaganda televisiva, non sono per nulla “un luogo sicuro”. Non lo sono né per gli insegnanti, né per gli alunni, né per il personale non docente. Si pensi al fatto che negli istituti scolastici vige una diversa “distanza sociale”: ottanta centimetri invece che un metro, altrimenti le aule non basterebbero.

Nella scorsa primavera il governo e le istituzioni (nazionali e territoriali) avevano promesso di mettere mano a questo insieme di situazioni, ma nulla o quasi è stato fatto. I vari lock-down, lo smart-working e altre misure simili possono avere un effetto tampone (spesso per altro solo limitatamente ad alcuni settori lavorativi), ma poi, se non si affrontano i problemi alla radice, si torna sempre al punto di partenza. Ed ecco che di nuovo le città sono piene di veri e propri vivai di un coronavirus pronto, in un modo o nell’altro, a bussare anche alla porta del dipendente dell’azienda dove, magari, le “misure anti-covid” sono abbastanza rispettate.
La verità è che alla lunga su un isolotto non ci si può salvare se nell’oceano c’è lo tsunami, non ci si può salvare neanche se sono state prese tutte le precauzioni utili.
Ma c’è anche dell’altro. Senza un’azione di stampo territoriale, senza un’azione che punti a travalicare i confini aziendali, il dipendente della grande impresa che “rispetta” (spesso perché “può permetterselo”) i protocolli è ulteriormente spinto a vedere nella “propria” azienda “un porto sicuro”. A sentirsi “diverso” e a concepire la sua situazione come nettamente separata da quella degli altri lavoratori. Insomma ad “aziendalizzarsi” ancor di più, con tutto il carico negativo che politicamente e sindacalmente ne consegue.
Cari compagni, siamo pienamente consapevoli delle (a dir poco) enormi difficoltà che il movimento sindacale da anni sta attraversando, sappiamo che spesso un maledetto scetticismo si impadronisce di noi, ma pensiamo che soprattutto di fronte all’attuale “crisi sanitaria” sia indispensabile provare (almeno provare) a fare qualcosa che possa davvero favorire la tutela della salute e la salvaguardia dell’occupazione e del reddito di chi lavora, di chi vive nei quartieri periferici, di chi non è “Silvio”, “Flavio” o “Donald”. E pensiamo che questo “qualcosa” lo si possa e lo si debba fare necessariamente tutti insieme, al di là dell’azienda e della categoria di appartenenza.
Per questo, senza alcuna faciloneria, senza alcuna retorica e consci (lo ripetiamo) delle grandissime difficoltà in cui versiamo tutti, vi invitiamo a prendere contatti con noi (in calce un indirizzo di riferimento) per provare a mettere in piedi un primo momento cittadino di discussione collettiva. Al fine di ragionare unitariamente su come “noi lavoratori” potremo davvero far sentire e far pesare la nostra voce fuori dei confini aziendali, affinché in ambito territoriale vengano realmente (realmente e non a chiacchiere!) prese tutte le misure necessarie per fronteggiare l’epidemia in corso.
Da questa “crisi sanitaria” il movimento sindacale e dei lavoratori potrà uscire ancor più debole, oppure potrà essere gettato un piccolissimo mattoncino per una nostra “ripresa”.Pensiamo che anche il solo tentare un’iniziativa di questo genere contribuirebbe a impastare quel “mattoncino” a cui tutti noi teniamo fortemente.

P.S. ovviamente se siete d’accordo vi chiediamo di far circolare lo “scritto”

Mail di riferimento: fisacbnldg2@gmail.com

I delegati Fisac-Cgil della BNL di Roma:

Gaetani Carlo
Contini Davide
Miozza Angela
Patanella Vincenzo
Parisse Mauro
Mascetti Nazzareno
Giuseppe Martinelli
Dell’Unto Roberto
Paola Gaetano

Roma 23 ottobre 2020

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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