Mimmo Moccia
Nell’anno 2010 dinanzi alla crisi che mordeva con ferocia la classe lavoratrice, le famiglie, gli strati sociali marginali e precari, un gruppo di compagne e compagni presentò per il Congresso della CGIL un documento alternativo: “ La CGIL che vogliamo”.
Collateralismo, subalternità al quadro politico, assunzione acritica e inerziale delle compatibilità avevano causato un trasferimento di ricchezza impressionante e inaccettabile dal lavoro al capitale concentrando la ricchezza in oligarchie sempre più ristrette, con la conseguente, devastante distruzione di diritti.
In quello stesso anno gli istituti demoscopici collocavano le organizzazioni sindacali , compresa la CGIL , all’ultimo posto in una classifica tesa a misurare la credibilità e la reputazione di istituzioni e soggetti collettivi e certificavano che la sfiducia era prevalente tra coloro che appartenevano ad un’area di centro-sinistra.
Occorreva una radicale inversione di tendenza, un sindacato capace di un progetto politico e sociale alternativo; di interpretare e dare senso e contenuti alla domanda di rappresentanza proveniente dal mondo del lavoro, dal precariato, dai nuovi e vecchi poveri; di opporsi all’aggressività padronale; di far maturare nella coscienza collettiva che andava ricostruito il nesso tra etica ed economia e che era indispensabile rivendicare e lottare per un nuovo modello produttivo e di welfare.
In un congresso opaco, con diffuse illegittimità, un’affannosa e distorta caccia al voto e risibili unanimità sulla mozione di maggioranza il documento alternativo raccolse il 17% , fu battuto, ma non sconfitto.
La battaglia ideale, valoriale e politica continuò con ostinata determinazione.
Nel Comitato Direttivo della CGIl risuonarono parole inedite e forti: “ La leadership deve essere contendibile … la democrazia deve essere un diritto pienamente esigibile … le proposte devono partire dal basso… la FIOM e tutte le categorie hanno diritto a discutere e votare gli accordi interconfederali… occorre estendere lo Statuto dei lavoratori.. il rinnovamento in CGIl deve essere una prassi democratica, sostanziale e verificata…. Occorre cambiare la fabbrica per cambiare il mondo”
Negli anni che seguirono emerse un leader carismatico, capace di dare corpo, anima e voce al bisogno di cambiamento, Furono tempi ricchi di entusiasmo, mobilitanti, le burocrazie sindacali erano in allarme al punto tale che furono acquistati spazi pubblicitari sull’Unità per attaccare il protagonista di questa nuova fase.
A giugno del 2015 fu lanciata la Coalizione Sociale, un nuovo soggetto che aveva come obiettivo” Ricostruire la politica con la P maiuscola…. Riavvicinare alla politica chi si è allontanato”.
Personalità prestigiose come Rodotà, Zagrebelsky, Don Ciotti, Gino e Cecilia Strada, gli economisti di Sbilanciamoci diedero il loro patrocinio e salutarono con grande consenso e fervore l’iniziativa alla quale aderirono oltre trecento associazioni.
A molti sembrò che fosse possibile una nuova CGIL capace di riappropriarsi del suo ruolo storico di protagonista del cambiamento, ma nella seconda metà del 2016 iniziò il declino e si ritornò al cosiddetto realismo pragmatico, ovvero una linea rinunciataria ed arrendevole.
E’ lecito chiedersi il perché di questa ricostruzione, ma a me appaiono evidenti le dolorose analogie tra il tempo che viviamo e quegli anni, analogie drammaticamente aggravate dal Covid , dalle oltre 108.000 vittime e dall’incertezza sul futuro.
La spoliazione del ceto medio, dei lavoratori, dei pensionati è un dato incontestabile e riconosciuto nella sua agghiacciante realtà dalla stessa ISTAT. La desertificazione dei diritti, che tanto eccita il presidente confindustriale Bonomi, è una prassi quotidiana alla quale non ci si oppone più; l’indice Gini è cresciuto di 4 punti nel 2020 e colloca l’Italia al secondo posto tra i Paesi con la più alta disuguaglianza di reddito; sono in povertà assoluta oltre due milioni di famiglie e 2,6 milioni sono le famiglie in povertà relativa.
Il lavoro è sotto costante attacco, Sanofi,Whirpool, Blutec, GKN sono solo la punta di un iceberg che minaccia danni irrimediabili e rappresentano l’equivalente del 2010 di Eutelia, Alcoa, Atitech, Termini Imerese e Pomigliano.
Sarebbe indispensabile un Sindacato capace di mobilitare masse e coscienze, di condizionare le scelte di un governo sempre più orientato a destra, di opporsi con forza all’arroganza confindustriale, di elaborare un nuovo modello produttivo e sociale, favorito in questo anche dal Recovery Plan, di non rinunciare alla lotta, di riprendersi con autorevolezza la funzione contrattuale, di costruire piattaforme rivendicative larghe e unificanti, di aggregare intorno alle proprie iniziative la società civile, le associazioni di volontariato, il terzo settore, gli intellettuali.
Parafrasando Humphrey Bogart nel film Casablanca sarebbe il momento di dire “ Play it again, Sam “ , sì suonala ancora Sam, ma il mood si è dissolto, il pianoforte emette una nota sola, il pianista è confuso e, come dimostrano gli ultimi accordi con Governo e Confindustria, la CGIL ha scelto come nuova linea politica, strategica e rivendicativa il capitalismo compassionevole.