Il BioLaboratorio di Trieste: “stato nello stato”?

di Ugo Balzametti

Che cos’è un laboratorio di bioterapia genetica?

 Nella prima parte del nostro viaggio abbiamo messo a fuoco gli aspetti conseguenti alla decisione del Comune di Pesaro di aver dato l’assenso alla costruzione di un laboratorio di biosicurezza rischio3.                  

(Leggi: I laboratori di biosicurezza in Italia, ridiamo la parola ai cittadini).

Successivamente ci ha colpito la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge 19 maggio2022 n°66, con la quale si dava esecuzione al Protocollo siglato Roma il 21 giugno del 2021 relativo all’attività del Centro con sede Trieste. 

Ma andiamo con ordine.

L’ICGEB (International Centre for Genetic Engineering and Biotecnology) è un’organizzazione intergovernativa che opera da oltre trent’anni nel Sistema dell’ONU. Centro di eccellenza per la ricerca e la formazione, consente agli scienziati di 66 Paesi di operare a contatto con i migliori esperti del mondo nei diversi settori delle scienze.

Il Centro internazionale per l’ingegneria genetica e la Biotecnologia (ICGEB) nasce a Madrid il 13 settembre del 1983 come progetto dell’ONU per lo sviluppo industriale (Unido); successivamente nel 1994 ha assunto le prerogative di un’Organizzazione Internazionale autonoma, con la collaborazione anche di settori privati come la Fondazione Bill e Melinda Gates e altre aziende leader nel campo della terapia genetica. E’ partner strategico dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Sono 46 i programmi di ricerca nelle tre sedi, a Trieste, New Delhi e Cape Town con 575 ricercatori. La Direzione generale è a Trieste. Le attività sono guidate da una equipe composta dai rappresentanti dei diversi Paesi membri. Un Consiglio scientifico monitora le ricerche che si svolgono nel laboratorio.

Le attribuzioni del ICGEB  sono:

1 -condurre progetti di ricerca avanzata nei propri laboratori

2 -assegnare borse di studio a studenti di dottorato e ricercatori per partecipare alle attività di ricerca

3 -organizzare 30 meeting ogni anno su argomenti di punta nel campo della ricerca genetica

4 -sostenere la ricerca con finanziamenti per progetti di eccellenza

5 -cooperare con i governi per definire la regolamentazione della biotecnologia.

Circa il lavoro svolto: “I programmi di ricerca comprendono progetti scientifici di base come il controllo dell’espressione genica, la replicazione del DNA, la riparazione del DNA e l’elaborazione dell’RNA; studi su virus umani quali HIV, HPV e rotavirus, immunologia molecolare, neurobiologia, genetica molecolare, ematologia sperimentale e terapia genica umana.

 I programmi di ricerca di ciascun Gruppo sono periodicamente valutati attraverso visite in loco che coinvolgono panel internazionali di scienziati con competenze specifiche nei rispettivi campi, le cui raccomandazioni sono riportate al Consiglio Scientifico ICGEB. Circa 1000 sono i visitatori del Centro ogni anno

La sede di Trieste è una realtà scientifica di alto livello internazionale, attrezzata per le più avanzate metodologie sperimentali della biologia molecolare e cellulare. Vi operano 18 gruppi di ricerca le cui attività coinvolgono circa duecento persone di 35 diverse nazionalità. Nel 2020 sono stati pubblicati 255 articoli su giornali scientifici internazionali.                

L’Italia ha aderito al Centro di Trieste con Legge 15 marzo 1986 n°103.

Nel 2016 anche l’Istituto Nazionale per l’ingegneria genetica di Teheran è entrata a far parte dei Paesi che operano  nel laboratorio triestino. La sede  dell’ICGEB BSL3 dal 1987 si trova nel Parco Scientifico e Tecnologico nell’Area di Padriciano, zona extraterritoriale di Trieste, insieme ad altri  laboratori di  ricerca 

 Nel maggio 2021 sono state inserite altre 15 camere-laboratorio per la ricerca, produzione e certificazione di qualità di farmaci biosimilari come l’insulina, anticorpi monoclonati contro il cancro a costi più economici di quelli della Big Pharma. E’ stato ribadito più volte dai responsabili del Centro che non è previsto alcun innalzamento del rischio a BSL 4.

Come abbiamo già osservato nel nostro intervento per il caso di Pesaro, i livelli di biosicurezza sono quattro, che in ordine crescente indicano l’entità del rischio.  

Più l’agente patogeno che si maneggia è pericoloso, in termini di trasmissibilità e infettività, più è alto il livello di biosicurezza del laboratorio, ovvero le norme, i dispositivi di protezione personale e le procedure, previste dai protocolli, per contenere i rischi a persone e all’ambiente.

Facciamo un passo indietro. I biolaboratori sono anzitutto centri ricerca, dove si maneggiano agenti biologici con differenti gradi di pericolosità. 

Queste strutture, soprattutto quelle con livelli di sicurezza più elevati, hanno un’importanza strategica per lo studio di malattie e l’analisi di patogeni emergenti.

Ne consegue che sono richiesti sforzi enormi per rispettare i controlli di sicurezza e progettare esperimenti con il massimo livello di precauzione. 

Del resto, dobbiamo osservare, questo è un tema che non potrà mai considerarsi del tutto risolto. Basti pensare che il presidente Obama nel 2014 sospese i finanziamenti per ricerche in questo tipo si strutture, dopo pochi anni lo stanziamento fu riattivato.

ICGEB il biolaboratorio di Trieste

Considerata la qualificazione internazionale e l’importanza degli studi realizzati sulla pandemia, era scontato che, dopo le proteste dei cittadini di Pesaro, anche l’ICGEB biolaboratorio di Trieste fosse coinvolto, a torto o a ragione, nello stesso tipo di contestazioni da parte di cittadini di Trieste.

In questo contesto ci sentiamo in dovere di denunciare i limiti, i ritardi che i territori e la società civile hanno manifestato nell’esercitare forme di “controllo dal basso”, delegando, nei fatti, la gestione di queste tematiche complesse ai tecnici o alle istituzioni centrali. 

 Il 16 giugno del 2022 si scopre quasi per caso che sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana è stata pubblicata la Legge 19 maggio 2022 n° 66 che “ratifica e dà esecuzione all’Accordo tra il governo italiano e il Centro Internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (ICGEB), con allegato, concordato a Roma il 21 giugno 2021.”

Con questa legge il governo italiano (Governo Draghi) ha conferito piena immunità ed inviolabilità di giurisdizione, con agevolazioni ai funzionari ed ai ricercatori che operano nel Centro ICGEB.  

La notizia, come al solito, è passata sotto silenzio. Ormai le più importanti testate giornalistiche, insieme alle grandi reti televisive, sono i luoghi del pensiero unico perfettamente omologato. 

A sorprendere di questo accordo non sono tanto i 10.000.000 di euro di fondi pubblici che l’Italia si impegna a stanziare ogni anno in favore del Centro o gli immobili messi gratuitamente a disposizione. E nemmeno le agevolazioni, soprattutto fiscali, di cui gode il Centro e i suoi lavoratori.

A lasciare perplessi è l’immunità totale conferita al laboratorio e ai suoi esperti, ai funzionari e direttori. Quest’ultimi sono infatti tutelati da un’immunità “di giurisdizione per gli atti da essi compiuti in veste ufficiale (parole e scritti comprese)”, così come “l’immunità da arresto o detenzione” dei rappresentanti degli Stati membri. 

Inoltre, stando all’articolo 7 della Legge pubblicata sulla GU: “Il Centro è inviolabile e le sue proprietà e i suoi beni, ovunque situati e da chiunque detenuti, godono della immunità di giurisdizione”. Il trattamento è simile a quello delle ambasciate.

Altrettanta immunità di giurisdizione è prevista circa la proprietà dei documenti, archivi, materiali e beni ovunque situati, da chiunque detenuti. Gli 8000 metri quadrati di edifici, oltre all’utilizzo gratuito fungono da territorio extraterritoriale da cui è escluso il controllo e la super visione della Stato Italiano.

L’articolo 11 prevede che “nell’esercizio delle proprie funzioni ufficiali, il Centro, i suoi beni, i fondi e le ulteriore proprietà saranno esenti da qualsiasi imposta diretta o indiretta”; nessuna imposta sugli stipendi o su altri emolumenti erogati  da ICGEB, relativi ad acquisti, a transazioni e a servizi”. 

Con l’articolo 12, infine, viene sancito che “i funzionari godono, all’interno e nei confronti della Repubblica Italiana, dei seguenti privilegi, immunità e agevolazioni: immunità di giurisdizione per gli atti da essi compiuti in veste ufficiale (parole e scritti comprese); tale immunità di giurisdizione continuerà ad essere accordata anche qualora le persone interessate non fossero più impegnate nell’esercizio di tali funzioni;  il Direttore gode per sé stesso e per i suoi familiari, dei privilegi, immunità, esenzioni ed agevolazioni concessi agli Ambasciatori che sono capì di missione ma che non sono cittadini italiani o non hanno residenza permanente in Italia.

Ciò significa che qualsiasi funzionario di Governo o chiunque eserciti una pubblica funzione sul territorio italiano non può entrare nella sede del Centro per esercitare le proprie funzioni senza il consenso del Direttore.

 A tutti i funzionari dell’ICGEB sarà fornita una carta di identità speciale che certifica il fatto che sono funzionari dell’ICGEB che godono dei privilegi e delle immunità specificati nel presente.

La prima domanda che ci sentiamo di porre: il Parlamento ha mai approfondito i contenuti di questa legge?  A nostra memoria non ricordiamo che nè in sede di ratifica del disegno di legge (gennaio 2022) nè a livello della società civile sia stata fatta una discussione di merito. 

Una seconda domanda che ci poniamo è: perché un laboratorio collegato alle Nazioni Unite debba avere la più totale immunità, condizioni e benefits così esclusivi?  Perché deve essere trattato come se fosse un ambasciata?

La ricerca biologica deve essere trasparente

Noi pensiamo che la ricerca biologica, impegnata a trovare risultati efficaci al fine di garantire cure e benessere per la collettività, debba essere libera, trasparente, alla luce del sole. 

Tutti i processi e le trasformazioni chimico-fisiche possono avvenire in un senso o nel senso opposto. Avere a disposizioni laboratori pubblici di ricerca ad alto livello è una garanzia di sicurezza e di libertà per le Nazioni che li posseggono e che perseguono il benessere della collettività.

La pandemia da Sars-Cov-2, che abbiamo conosciuto negli ultimi due anni, avrebbe dovuto convincere i governi a recepire l’allarme degli esperti sulla minaccia alla stabilità strategica e alla sicurezza comune posta dallo sviluppo tecnologico dell’ingegneria genetica e rendere sempre più trasparenti gli obiettivi che i ricercatori vogliono perseguire. 

I rischi primari che determinano i livelli di sicurezza collettiva  sono l’infettività, la gravità della malattia, la trasmissibilità e la natura del lavoro svolto, con riferimento alla sperimentazione su cellule umane o animali. Ogni livello di sicurezza è sottoposto a controlli specifici. 

Dobbiamo rilevare che,  mentre in America per valutare e classificare i livelli di pericolosità si seguono normative omogene per tutti gli Stati dell’Unione con controlli molto rigorosi per esperimenti che coinvolgono patogeni altamente letali, in Europa non ci sono normative comuni, e le norme nazionali sono considerate relativamente permissive.

A tal proposito il dott. Luca Guidotti, vicedirettore dell’Ospedale San Raffaele di Milano e responsabile del laboratorio BSL 3, valuta che “la definizione Bsl3 o Bsl4 rischia di essere riduttiva poiché molto dipende dal tipo di manipolazioni che viene fatta all’interno del laboratorio e della possibilità di usare o meno animali”.

In Italia per esempio due sono i laboratori BSL 4: l’Ospedale Spallanzani a Roma e l’Ospedale Luigi Sacco a Milano. Ma si tratta di laboratori dove vengono manipolati linee cellulari prelevate da pazienti che potrebbero essere contaminati con patogeni ad altissimo rischio come è successo nel caso del SarsCov2.

Altra cosa, continua il dott. Guidotti “è lavorare con animali che devono essere manipolati contro la loro volontà e possono mordere, graffiare, scappare. È molto più complesso e richiede spazi più ampi, anche perché la legge non consente di avere commistione tra patogeni diversi”.

Ne è conseguito che nella fase della pandemia i laboratori BSL 4 sono aumentati (da 59 a 69, in 23 Paesi)), ma il fatto che questo incremento sia avvenuto senza un rafforzamento della super visione della gestione del rischio biologico e in Paesi con poca stabilità politica è motivo di grande preoccupazione.

La proliferazione incontrollata dei BSL 4 presenta alcune incognite e i pericoli possono riguardare possibili incidenti che vanno dai contagi accidentali del personale, alle fughe di agenti infettivi fino al rischio che male intenzionali possano mettere mano su agenti patogeni e procurare enormi danni alle persone e alla natura.

Il quadro che ne scaturisce è che in genere i Paesi siano più pronti sul fronte della biosicurezza- ovvero con misure tese a prevenire l’esposizione o il rilascio di agenti patogeni- che della bioprotezione – ovvero con la prevenzione  di un cattivo utilizzo di agenti pericolosi.

“Negli anni ’70, conclude il dott. Guidotti, si è capito che determinati patogeni erano potenziali armi di guerra biologica e si è iniziato a lavorare anche su di essi.  Oggi i patogeni sono suddivisi in base al rischio medico o di bioterrorismo, con quest’ultimi che dovrebbero essere manipolati esclusivamente nei laboratori di difesa militare”.

In queste condizioni se da un lato l’allestimento di un laboratorio di sicurezza già oggi segue linee guida dettate da organizzazioni internazionali, dall’altro, al momento, manca una legge internazionale che omologhi in maniera uniforme tutte queste procedure.

Guardando al futuro, tra le difficoltà principali che presentano questo tipo di ricerche, è la valutazione e la classificazione esatta del loro livello di pericolosità. 

Il Financial Time, con un articolo di Izabella Kaminska, ha denunciato come “il calo dei costi e la crescente accessibilità a strumenti di manipolazione genetica, abbiano favorito la proliferazione dei cosiddetti “laboratori in garage”. 

In questo caso i rischi di manipolazioni genetiche non controllate sono enormi e l’uso improprio, accidentale o deliberato, possono diventare gravi minacce biologiche.

Il pericolo è molto alto e la comunità internazionale dovrebbe prevenirlo con strumenti normativi più efficaci. I fattori combinati di una tecnologia a basso costo, più facilmente accessibile e maggiormente efficace, potrebbe non essere sufficiente per influenzare le potenze maggiori, ma potrebbe incentivare Stati piccoli a riconsiderare l’utilità marginale di investire in strumenti di morte.

Oggi si assiste ad un conflitto inedito fra la “cultura della libera scienza” e “cultura della sicurezza”, tra chi pensa che la paura nei confronti della ricerca siano irrazionali e frutto di una scarsa comprensione e chi invece crede che gli scienziati non si rendano conto di quanto può essere pericolosa la loro attività. 

In definitiva tra chi sostiene che l’attività scientifica debba essere sottoposta a controllo della società civile e chi pensa che la scienza deve essere autonoma da ogni interferenza esterna. Noi propendiamo per la prima ipotesi.

“Convenzione” per il bando delle armi biologiche

L’attacco alle Twin Towers, ad esempio, ha radicalmente mutato la percezione del rischio nei confronti di armi biologiche, fino al punto di indurre la gente a credere che basti un apparato rudimentale, scaricato dal Web, per permettere a chiunque di costruirsi un’arma biologica. 

Naturalmente, anche in quella circostanza, i media hanno contributo ad alimentare la paura di un imminente attacco con armi biologiche da parte degli iracheni, avallando “le scoperte” fatte dagli americani, dando copertura politica all’intervento armato. Dopo anni si è saputo che i pericoli paventati dagli USA erano un falso. 

Del resto, non possiamo dimenticare che anche la paura è un affare, può produrre lauti profitti. La “cultura della paura” che domina le società occidentali post-11 settembre ha costretto la comunità scientifica a rivedere le norme etiche su cui si sono basate finora le modalità di produzione e comunicazione del sapere scientifico. 

La valutazione precedente chiama in causa il problema del finanziamento alla ricerca scientifica che richiede cospicue risorse.  Se il finanziamento pubblico è scarso, subentrano i  Bill Gates di turno che quasi sicuramente fanno prevalere esclusivamente le logiche del profitto.

Dal 1975 è in vigore la BWC Biological Weapons Convention, accordo internazionale, sottoscritto da 185 Stati, che proibisce lo sviluppo, la produzione ed immagazzinamento delle armi batteriologiche e delle armi tossiche e la loro distruzione.

BWC, quindi, è uno strumento che opera a più livelli, mettendo insieme tematiche scientifiche e sociali, salute e sicurezza, prevedendo azioni sia nazionali che internazionali, coinvolgendo competenze militari e di controllo degli armamenti, ma anche sanitarie, veterinarie oltre naturalmente saperi scientifici e tecnologici.   

Gli Stati firmatari devono redigere ogni anno un dossier riservato sui laboratori biologici che effettuano esperimenti con finalità di vaccino.  

L’articolo 1 dice: 

“Ogni Stato parte della presente Convenzione si impegna in nessun caso a sviluppare, produrre, stoccare o altrimenti acquisire o mantenere in vigore:

  • agenti microbiologici o biologici, tossine, qualunque sia la loro origine o metodo di produzione, dei tipi e nelle quantità che non hanno alcuna giustificazione per profilassi, protezione o altri scopi pacifici;
  • armi, equipaggiamenti o vettori destinati all’uso di tali agenti o tossine a fini ostili o in conflitti armati”

Inoltre viene previsto che entro 9 mesi si dovranno distruggere o convertire a usi pacifici tutti gli agenti e gli impianti esistenti. 

La Convenzione, dunque, non vieta lo sviluppo di agenti biologici patologici, ne proibisce solo finalità a scopi militari. E’ sempre però più difficile verificare se i Paesi abbiano rispettato e rispettino tale divieto.

Nel caso dell’Italia, ad esempio, la legge  avvolge l’attività dell’ICGEB o della base militare di Sigonella in un alone di mistero, alimentando   sospetti, forse inutili, che potrebbero essere superati se fosse realizzata alla luce del sole l’attività di ricerca che si realizza all’interno di questi laboratori. 

Perché sul sito dell’ICGEB vengono indicate tutte le attività di ricerca anche quelle più pericolose, poi invece questi laboratori o parti di essi per legge, sono strutture impenetrabili, a volte coperte dal segreto militare e si configurano quasi come “uno stato dentro lo stato”? Qualcuno diceva che a pensar male… 

Le prerogative che il governo concede al laboratorio di Trieste potrebbero far pensare, anche sbagliando, ad un passaggio da livello BSL3 a BSL4 dove potenzialmente è possibile manipolare  un virus o animali.

Insomma, resta da chiedersi se questi “previlegi” non siano proprio il massimo per una scienza che si professa trasparente.

La ricerca scientifica è un processo creativo di scoperte che si sviluppano secondo procedure stabilite, consolidate all’interno della comunità scientifica, quindi devono essere pubbliche, controllabili e ripetibili.

La scienza come fonte di verità inconfutabile non esiste, anzi requisito fondamentale dell’atteggiamento scientifico è la consapevolezza e l’umiltà di una verità che può cambiare, evolvere.

Non abbiamo bisogno di paura ma di riaffermare la verità, il dubbio guidato dalla razionalità. Se la comunità scientifica si lascia irretire dai fondi privati, viene bandita anche quel minimo di trasparenza necessaria  in un settore così delicato come la ricerca biologica. 

Abbiamo posto tante domande, quasi tutte senza risposta. 

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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