Esternalizzazioni, alle aziende non tutto è permesso

Intervista a Francesca Ferretti a cura di Antonio Damiani

Nei giorni scorsi abbiamo riportato la notizia della sentenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro che ha confermato l’illegittimità dell’esternalizzazione di lavoratori della Banca Mps a Fruendo.
 
Non serve ovviamente ritornare alla valutazione di una vicenda per la quale il giudizio è consegnato alla storia sindacale. Ma serve approfondire ed eventualmente valorizzare una sentenza che costituisce un importante strumento in vista di future vertenze di settore e non solo.
 
Per questo abbiamo chiesto all’avv. Francesca Ferretti dello Studio Legale Associato di Bologna di aiutarci a comprendere meglio l’importanza della sentenza.
 
La Corte di Cassazione con sentenza del 16 marzo ha definitivamente sancito l’illegittimità dell’esternalizzazione di 1066 lavoratori di Banca Mps a Fruendo. Un iter giudiziario complesso e lungo, circa 9 anni, che ha coronato, grazie al vostro prezioso lavoro come Studio Legale Associato di Bologna, una lunga lotta fatta di mobilitazioni, scioperi, assemblee. Ce ne parli? 
 
La vicenda della esternalizzazione delle funzioni di back office bancario da parte di Monte Paschi ha visto una forte opposizione da parte dei lavoratori ceduti: su più di 1000 lavoratori coinvolti, circa 7/800 hanno impugnato il loro trasferimento dalla Banca a Fruendo.
Ciò, nonostante la vicenda avesse preso le mosse dalla conclusione di un accordo, al termine  della procedura di consultazione sindacale relativa al trasferimento di ramo d’azienda, non firmato dalla Fisac-Cgil.  
I lavoratori sono stati fortemente disincentivati ad opporsi alla cessione dalle organizzazioni di categoria firmatarie, con l’argomento che nell’accordo fossero state ottenute diverse condizioni di tutela: prima di tutto, la garanzia della durata ventennale della commessa che, contestualmente,  Monte Paschi è andata a stipulare con Fruendo per la fornitura, da parte di quegli stessi lavoratori, dei servizi latamente riconducibili al concetto di back office, già svolti internamente da un variegato complesso di unità organizzative.
Inoltre, la garanzia di non essere trasferiti dalla propria sede di lavoro  per almeno tre anni dalla data del trasferimento, termine poi abbondantemente superato, e oserei dire “congelato” dal procedere dell’iter giudiziale in senso favorevole ai lavoratori, fin dal primo grado.
Il nostro studio ha raccolto circa un centinaio di mandati da lavoratori iscritti, o comunque simpatizzanti, della Cgil: analizzando la situazione, si è potuto verificare che la linea guida dello scorporo delle attività dette di backoffice non seguiva il criterio della funzionalità dei servizi che Fruendo, con l’appalto, si impegnava ad offrire.
Al contrario, tutti gli uffici ceduti hanno per forza dovuto continuare ad operare  in stretta sinergia con gli uffici interni di Monte Paschi, e in generale questa è una caratteristica di tutte le cessioni del settore bancario, in cui l’istituto di credito, per le stesse funzioni istituzionali che gli competono, è obbligato in base a normative della Banca d’Italia ad esercitare uno stretto controllo anche sulle funzioni prodromiche a quelle strettamente inerenti all’apertura di linee di credito ai clienti. Certi uffici, addirittura, erano stati letteralmente smembrati, con il passaggio di solo alcuni dei lavoratori addetti, secondo una logica non riconducibile a quella della funzionalità della mansione svolta.
E’ stato inoltre possibile verificare che i numeri dei lavoratori ceduti rientravano nel complesso delle unità dichiarate in esubero nel Piano Industriale 2012-2015 presentato dalla Banca ai sindacati, ed erano enucleabili attraverso la sottrazione, da un numero più ampio, di quelle unità che avrebbero potuto essere incentivate all’esodo, nella ricorrenza delle condizioni per l’attivazione del Fondo di Solidarietà interbancario. E’ stato abbastanza evidente fin dall’inizio, quindi, che la cessione di ramo mascherava in realtà delle espulsioni indifferenziate di lavoratori, funzionali all’alleggerimento dei costi del personale in capo alla Banca.
Per tutte queste evidenze, abbiamo sempre confidato nella fondatezza della richiesta di reintegrazione dei lavoratori ceduti all’interno della Banca, su cui hanno convenuto tutti i giudici che hanno esaminato la fattispecie, sia nei due gradi di merito, che infine in Cassazione.
 
Abbiamo l’impressione che questa sentenza rappresenti un precedente importante rispetto alla tendenza di utilizzare i processi di esternalizzazione al di fuori dei limiti della legge. E che possa servire come punto di riferimento anche per altri settori, oltre a quello creditizio. È veramente così?
 
La sentenza si inscrive nell’orientamento ormai molto consolidato della Cassazione in materia di trasferimento di ramo d’azienda e fornisce un accurato excursus degli approdi giurisprudenziali, anche della Corte di Giustizia Europea.
E’ interessante l’espressa menzione, a proposito della situazione esaminata, di uno dei profili indicativi della mancanza di autonomia funzionale del ramo ceduto, che determina l’illegittimità della cessione, cioè la perdurante operatività delle unità appartenenti al ramo ceduto mediante i programmi e i sistemi informatici rimasti in proprietà della cedente.
L’ausilio offerto dagli strumenti informatici è proprio di pressoché tutti gli ambiti di operatività, in particolare per quanto riguarda mansioni impiegatizie (ma non solo, basta pensare alla logistica), anche se è altrettanto vero che, perché quei programmi e quei sistemi operativi siano così esclusivi  da non poter essere forniti o integrati dall‘impresa cessionaria, deve trattarsi di gestione dati di particolare delicatezza, come per l’appunto  nell’ambito bancario.
La società ha infatti puntato molto, nelle sue difese, a ricondurre tale aspetto – cioè l’impossibilità di cedere il dominio e la gestione dei sistemi informatici – alla particolarità della funzione creditizia. Questa però, alla fine, è apparsa come niente altro che la conferma dell’impossibilità di scorporare dal tutto una frazione dell’insieme e accreditarla come funzionalmente autonoma.
 
 

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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