Dov’è finita la rabbia?

Sessanta anni fa, esattamente il 20 settembre 1962 apparve sul n.38 della rivista “Vie nuove” uno scritto di Pier Paolo Pasolini proprio pochi mesi prima di raccogliere da un’idea del produttore Gastone Ferranti la sfida a realizzare insieme a Giovanni Guareschi il film “La rabbia”.

Furono così due intellettuali eretici di schieramenti avversi che trovarono inaspettati punti di convergenza sulla condanna di quello che allora appariva il  mondo moderno.

Scriveva Pier Paolo Pasolini in quegli anni:

finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.
E ancora oggi, negli anni sessanta le cose non sono mutate: la situazione degli uomini e della loro società è la stessa che ha prodotto le grandi tragedie di ieri.
Vedete questi? Uomini severi, in doppiopetto, eleganti, che salgono e scendono dagli aeroplani, che corrono in potenti automobili, che siedono a scrivanie grandissime come troni, che si riuniscono in emicicli solenni, in sedi splendide e severe: questi uomini dai volti di cani o di santi, di jene o di aquile, questi sono i padroni.
E vedete questi? Uomini umili, vestiti di stracci o di abiti fatti in serie, miseri, che vanno e vengono per strade rigurgitanti e squallide, che passono ore e ore a un lavoro senza speranza, che si riuniscono umilmente in stadi o in osterie, in casupole miserabili o in tragici grattacieli: questi uomini dai volti uguali a quelli dei morti, senza connotati e senza luce se non quella della vita, questi sono i servi.
È da questa divisione che nasce la tragedia e la morte”.

La lettera che ci ha inviato Mimmo Moccia in questi giorni trasuda di Rabbia.

La nostra rabbia che ancora non siamo riusciti a trasformare in speranza.

 

 

 

In un tardo e caldo pomeriggio di aprile mi allontanavo per ultimo dall’aula numero cinque della sede universitaria sita in via Mezzocannone.
Ancora una volta si era consumato lo scazzo irriducibile tra leninisti e trockisti, operaisti e lottacontinuisti, dogmatici assertori della superiorità del Capitale ed entusiasti fan dei Grundrisse. Nell’uscire notai un foglietto a righe lasciato su uno dei banchi, mosso da curiosità, lo raccolsi e lo lessi. Erano dei brevi versi: “ Filo conduttore tra sibili sonanti di crotali feroci. Politica. Che sventurata fine su bocche sdentate dal lungo esercizio alla voracità. Politica. Ti ho invocato per coltivare l’utopia, perché il cambiamento fosse possibile, invano. Oggi, qui, in questa aula ti seppellisco per sempre “.
Quel piccolo foglio sgualcito l’ho conservato come memoria e come monito.
Credo che, a distanza di tanti decenni, non esistano parole migliori e più pertinenti per descrivere i giorni che stiamo vivendo. Politica, da scienza e arte del governare, strumento per la ricerca e la realizzazione del bene comune, trasformata in puro esercizio di potere da una nomenclatura ottusa ed egotista.
Un’anima pia e candida si chiederebbe, ma la sinistra? Dispersa in correnti e conventicole, incapace di parlare alle e con le persone, sorda e afona ha costruito la tempesta perfetta per una sconfitta storica.
Ideatrice di un Campo Largo, diventato poi anche flessibile, finendo on demand, ha rivelato tutta l’impotenza di una classe politica rugosa, incanutita, dedita all’autoconservazione, con la vocazione inarrestabile a rappresentare il centro, non quello di gravità permanente, ma un ceto sociale volubile e fluttuante dedito precipuamente alla declinazione del proprio interesse.
Un partito che risponde ad una disfatta, con una indecorosa corsa alla segreteria, con un restyling di facciata consistente nel cambiamento del nome quali chance può avere per ricostruire una rappresentanza credibile , un consenso esteso della classe lavoratrice, degli intellettuali, per riedificare i nessi storici con il precariato e la marginalità sociale ?
Qualcuno avrebbe dovuto spiegare a lor signori che la sinistra è l’opposto della politique politicienne, del pavido terzismo, dell’ambigua sospensione del giudizio, della cauta neutralità, del doroteismo tout court, delle agende qualunque nome esse abbiano.
La sinistra è identità, scelta, azione, partigianeria consapevole ed eticamente orientata; è empatia, condivisione; è lotta, quella chel Marx rispondendo ad una domanda del giornalista Swinton del The Sun identificò come la cosa fondamentale.
Chi potrebbe essere di esempio, di stimolo, di esortazione, di sprone in questa direzione?
Forse il Sindacato, la CGIL?
Georges Sorel, scienziato, filosofo, sociologo identificò nell’anarco-sindacalismo, ovvero nel sindacato l’ unico strumento della lotta di classe e nello sciopero generale l’arma per consentire l’evoluzione della democrazia e l’emancipazione del proletariato.
Senza condividere ed entrare nel merito del suo pensiero ci sentiamo di rassicurare tutti, sì perché nel tempo è intervenuta un’aferesi e oggi è il tempo del narco-sindacalismo.
Che il padronato, le associazioni imprenditoriali, il ceto medio, le caste sociali, riprendano i loro sonni tranquilli, la sinistra è ancora tutta da reinventare e da ricostruire.

Mimmo Moccia

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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