Umberto Bindi o della Memoria Selettiva

 

Italian singer-songwriter Umberto Bindi posing with his arms wide open. Milan, January 1968. (Photo by Mondadori via Getty Images)

 

 

È il 1980, lavoro in banca in una agenzia nel centro di Roma; svolgo le mansioni di cassiere.

Mattina qualunque di un giorno qualsiasi: si avvicina al bancone un signore di mezz’età, minuto, un po’ malmesso, noto i polsini della camicia consumati; mi presenta un assegno di 120.000 lire (non erano molte neanche allora) intestato ad Umberto Bindi. Lo guardo in viso e vedo un’espressione malinconica, ma gentile, timorosa e signorile; mi fa “ho il documento” come direbbe un bambino alla madre “ho fatto tutti i compiti” e mette la carta di identità sul bancone.

Continuo a guardare il suo viso e restituisco il documento senza averlo neppure aperto: “maestro Bindi che fa? Mi da un documento di identità? Come si fa a non riconoscere uno dei più grandi compositori italiani del ‘900?”

Annullo l’assegno e metto le banconote sul bancone, ma lui continua a guardare me con gli occhi lucidi ed un sorriso di triste felicità; “Grazie! Grazie davvero, per tutto…”, si gira e lo vedo andare verso l’uscita mentre con il dorso della mano si asciuga gli occhi in modo fugace.

L’episodio, assolutamente vero, mi fornisce il pretesto parlare, in modo necessariamente sintetico ed incompleto, della “memoria selettiva”, cioè di quel fenomeno della nostra mente che ci fa ricordare alcune cose ed altre no. Tipicamente siamo portati a ricordare le cose belle, e a rimuovere dalla memoria quelle brutte o dolorose; da alcuni anni sento ripetere, ed io stesso l’ho fatto, quanto fossero migliori quegli anni (non meglio definiti), come rimpiangiamo uomini politici che allora detestavamo, ecc.

Bene.

Umberto Bindi, nacque a Genova nel 1932, e fece parte della cosiddetta Scuola Genovese insieme a Lauzi, Paoli, De André, Tenco; Bindi si distingueva per la raffinatezza delle orchestrazioni, l’eleganza degli arrangiamenti, e in definitiva musicalmente era un gradino sopra gli altri. Insieme con Giorgio Calabrese, anch’egli genovese, che cura i testi, compone nel 1959 e nel 1960 “Arrivederci” ed “Il Nostro Concerto”, brani straordinari eseguiti in ogni angolo del mondo. Nel 1961 Bindi partecipa al Festival di Sanremo con “Non Mi Dire Chi Sei”; i giornali nei giorni seguenti scriveranno non della canzone, né dell’autore, ma solo dell’anello vistoso che Bindi portava al dito.

È solo l’inizio: la sua omosessualità, mai negata, gli causa un feroce ostracismo da parte di giornali e televisione; comincia il declino intervallato da fugaci apparizioni in programmi di altri, e cominciano i problemi di salute ed economici che spingeranno Gino Paoli a pubblicare un appello perché gli vengano concessi i benefici della legge Bacchelli per artisti in difficoltà, appello che viene accolto, ma troppo tardi. Umberto Bindi muore dopo un mese in un letto di ospedale a Roma.

Era questa l’Italia che rimpiangiamo?

Sento il dovere di segnalare due esecuzioni di suoi brani più famosi:

un inedito Claudio Baglioni, con Danilo rea al piano, canta “Il Nostro Mondo”

 

e “Arrivederci” interpretata dal trombettista Jazz Chet Baker, purtroppo in parte rovinata da un’orchestrazione ridondante e melensa…

Ti chiediamo scusa, Maestro, dovunque tu sia.

                                                                                   Massimo Rossi    

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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