Questo in sintesi l’intervento di Sergio Cofferati apparso sul Fatto Quotidiano il 2 luglio.
“Quale accordo? Il testo firmato non lo è di certo, si fa fatica perfino a definirlo”. Sergio Cofferati, in una intervista a Il Fatto, si mostra assai perplesso in merito al documento sul blocco dei licenziamenti siglato martedì tra le parti sociali e il governo. Spiega l’ex segretario della Cgil: “Non è un accordo, a partire dal titolo ‘Presa d’atto’: mai visto prima. Il governo sollecita le parti a convergere su una ‘raccomandazione’: cosa vuol dire? Non si capisce quale fondamento giuridico possa avere e quindi la sua efficacia. Peraltro riguarda solo una parte, i datori di lavoro, che in realtà non avranno alcun vincolo. È un contorto atto politico che non risolve il problema di fondo. Una scelta sbagliata destinata a creare molti problemi”. Perché i sindacati sono soddisfatti? “Temo abbia prevalso la paura per la reazione delle persone in caso di rottura. Ma non si è deciso nulla e il governo si è inventato nuove forme di rapporti fra le parti sociali… Perché affidarsi alla buona volontà di Confindustria? Se va bene si sposta il problema di 13 settimane, se va male avremo migliaia di licenziamenti. Si incentivano le aziende a non licenziare, ma la Cig è temporanea, serve per trovare una soluzione al problema che ne ha richiesto l’uso, che qui non viene trovata. Serviva svuotare la sacca di lavoratori a rischio licenziamento, cioè una vera politica del lavoro”. Il governo Draghi sottovaluta il tema lavoro? “Mi pare non lo consideri proprio. C’è un vuoto enorme. Prendiamo il Pnrr: miliardi di investimenti che avranno effetti sull’attività delle imprese e sul lavoro. Dei primi si parla poco, dei secondi zero. Eppure dovrebbe essere normale valutare gli investimenti anche in termini di obiettivi occupazionali, sia quantitativi che qualitativi”. E conclude: “Un sindacato in crisi deve trovare al suo interno le cause della sua debolezza. Landini fa il suo lavoro con passione, male difficoltà sono antiche, la sconfitta sul Jobs act è stato uno dei momenti più duri. La politica ci ha messo del suo emarginando i sindacati”. (2 LUG -red)
(© 9Colonne – citare la fonte)
E questo è invece l’insegnamento lasciatoci da Trentin nell’aprile del ’89.
“Un rinnovamento dei gruppi dirigenti della Cgil e del loro metodo di lavoro è possibile e necessario: io avverto questo problema come il compito principale che mi incombe (…) Ma non aspettatevi da me un rinnovamento degli uomini separato da un rinnovamento delle politiche, del programma, e della strategia della nostra organizzazione. E non aspettatevi da me il ruolo di un mediatore fra fazioni. Sono e rimarrò, credo, fino alla mia morte, uno dei pochi o dei molti illusi che ritengono che il rinnovamento dei gruppi dirigenti cammina con la coerenza delle idee, con l’assunzione delle responsabilità, con il coraggio della proposta e del progetto. E ciò, proprio perché sono convinto che presto o tardi, con la forza delle idee e delle proposte anche le forze culturalmente minoritarie di oggi, se dimostrano coerenza e rigore, possono diventare maggioranza domani ed essere davvero il futuro della nostra organizzazione (…) C’è bisogno, specialmente oggi, di una deontologia del sindacato che dia credibilità e certezze ai lavoratori e che lanci ai giovani che vogliono cimentarsi con questa prova il messaggio che lavorare per la Cgil e nella Cgil non è un mestiere come un altro, ma può essere, può diventare una ragione di vita”.
Abbiamo messo a confronto queste due posizioni che pur guardando la cosa sindacale da facce diverse ci raccontano un cammino incompiuto, uno stanco copia incolla rituale e in definitiva una strada senza uscita.
E’ invece arrivata l’ora di spingersi oltre ed invocare un Reset della CGIL all’interno nuovo codice etico, deontologico come dice Bruno, che solo le nuove generazioni possono assicurare.