I social: fra capitalismo digitale e perdita delle libertà

a cura di Ugo Balzametti

Nel 1991, all’alba della nascita del www (world wide web=web), Internet veniva considerato come il più grande spazio pubblico che l’umanità avesse mai conosciuto e la drasticità dei cambiamenti apportati dai social network è stata innegabile: hanno influenzato lo stile di vita, il modo di rapportarci con noi stessi e con gli altri, il nostro modo di pensare, di comportarci.
Social network tradotto in italiano significa “reti sociali”. Con questa definizione si identificano gruppi di persone connesse fra loro da un qualsiasi tipo di legame (lavoro, amicizia, interessi) che si relazionano come comunità. E’ una piazza, un’agorà virtuale, ovvero tramite internet ci si ritrova condividendo con altri foto, filmati, pensieri, indirizzi di amici.
Le informazioni viaggiano velocissime e sono facilmente accessibili e consultabili, gli utenti interagiscono, si pubblicano foto, video, soprattutto testi. Sostanzialmente, consentono a miliardi di persone di dire la loro, su tutto.
A tale proposito, riferendosi alle persone che intervengono sui social senza ragionare su quello che viene scritto, Umberto Eco sottolineava che : “ I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli.”
Quando nei primi anni 2000 le imprese capirono che la principale fonte di successo sarebbe stato il coinvolgimento attivo degli utenti, si incominciò a sperimentare una nuova generazione di motori di ricerca e di siti specializzati che utilizzavano statistiche dell’attività del visitatore. al fine di stabilire il prezzo delle inserzioni pubblicitarie. E’ in questo periodo che nascono Google, Amazon, Facebook, Twitter.
Nel tempo, hanno dato vita al più grande e straordinario spazio pubblico che si sia conosciuto; specie nel primo periodo, i social hanno consentito a milioni di uomini e donne di condividere conoscenze , idee, contenuti, dando concretezza ad un’etica della comunicazione fondata sul dialogo, l’ascolto e sulla critica.
La nascita delle piattaforme digitali ha evidenziato un cambiamento nell’organizzazione delle comunità on line che erano, inizialmente, strutturate per argomenti o per gerarchie di argomenti. Dopo circa vent’anni invece sono state organizzate come reti personali, con l’utente al centro della propria comunità.
I social, sin dall’inizio, hanno messo a disposizione dei propri utenti tanti servizi gratuiti (le mailing liste, i personal web, per passare poi ai blog, ai social), in realtà era ed è una falsa gratuità perché in cambio dei servizi i gestori delle piattaforme hanno chiesto e chiedono i dati personali dell’utente, al fine di poter tracciare la sua identità digitale.
I primi social, come nel caso di Google e Facebook, sono nati negli Usa e UK, in ambito universitario, con l’obiettivo di mantenere le relazioni fra colleghi ed amici.
Google colosso mondiale del digitale, ma anche del web marketing, è nato nel 1998, quando Andy Bechtolsheim staccava un assegno da 100.000 dollari intestato a due studenti universitari che avevano avviato l’operatività dell’attuale colosso.
Se fino a pochi anni fa il social network più diffuso era Friendster, oggi, anche in Italia, il più utilizzato è Google. I social più diffusi nel mondo sono : Facebook,Google, MySpace, Flickr, Twitter, Skyrock, Tagged, LiveJournal, Orkut, Fotolog, Bebo.com, Badoo.Com, Imeem, Ning, My Yearbook WindowsLive.Xiaonei, Tik tok,You Tube
Nel corso degli anni queste piattaforme hanno avuto uno sviluppo inarrestabile sia tra i giovani che tra i meno giovani, i numeri parlano da soli: il 42% della popolazione mondiale, più di 4,39 miliardi utenti usano attivamente internet, e 3,48 miliardi usano le piattaforme social Google; nel 2019 ci sono stati 62,9 miliardi di contatti e sono state fatte 3,5 miliardi di ricerche al giorno. Ci sono 2,2 miliardi di utenti che utilizzano Facebook, 1,5 miliardi You Tube, 1 miliardo su Instagram e su Twitter, quasi 600 milioni su Linkedin. Più di un miliardo di utenti si collega quotidianamente a Facebook, mezzo miliardo ad Instagram.
Nel nostro Paese, secondo uno studio di Global Web Index, nel 2019 su una popolazione di 60 milioni , ci sono stati più di 55 milioni di utenti internet e 35 milioni di utenti social che, nella fascia di età tra i 16 e i 65 anni, ne fanno un uso medio giornaliero di circa 2h. Secondo il report, il social più utilizzato con l’88% è Youtube, seguito da Facebook con l’84%.
Le piattaforme digitali ormai sono una presenza costante nella quotidianità dell’utente, le informazioni rimbalzano da una piattaforma all’altra ed è impossibile sottrarsi. Però non tutti sono consapevoli che i social adottano tecniche psicologiche in grado di condizionare la nostra mente manipolando la nostra attenzione.
La tecnologia non può essere vissuta come semplice strumento, ma è un’estensione della mente umana, un mondo virtuale che s’intreccia con il mondo reale e che incide sulla dimensione cognitiva, emotiva e sociale della persona. Di conseguenza non sono i social ad essere specchio della società. Siamo noi a diventare ciò che i social, e chi li governa, vogliono che diventiamo.
Tenendo ferme le performance dei vari social, è fondamentale capire quali logiche governano questi strumenti. Il sistema tecnico diventa totalitario, vuole conoscere tutto di tutti, controllare, incasellare, limitare la libertà individuale.
La logica della sorveglianza passa attraverso i dati che la persona lascia liberamente in rete, affinchè si possa condividere tutto della propria vita e delle proprie relazioni sociali, da cui poi i proprietari dei social estraggono valore. Si afferma il capitalismo della sorveglianza che ha l’obiettivo di automatizzare l’uomo e il suo pensiero, eliminando qualsiasi possibilità di autodeterminazione.
Tutto ciò grazie alla operosità degli algoritmi che, attraverso una serie di procedimenti sistematici di calcolo matematici, consentono la risoluzione di un problema, senza che nessuno, però, ne conosca esattamente il funzionamento, se non chi lo ha creato e ne è proprietario. In mancanza di una adeguata trasparenza, si sono verificati , nel corso degli ultimi anni, gravi scandali.
E’ il caso di Facebook, il social creato da Mark Zuckerberg nel 2004 con l’obiettivo di creare un libero scambio di opinioni. Negli anni il ruolo della più famosa rete sociale si è sempre più orientato verso l’ambito pubblicitario. Il numero dei post si è incrementato in modo esponenziale, rendendo la pagina iniziale (home) piena di inserzioni pubblicitarie.
A partire dal 2009 Facebook ha avuto numerosi aggiornamenti, ma degli oltre 100 mila parametri che lo caratterizzano, il nuovo algoritmo, EdgeRank, fa riferimento essenzialmente a tre variabili: affinità (valore della relazione tra utenti che hanno visualizzato e condiviso un determinato post); peso (la quantità di interazioni generata dai post-messaggi); tempo (intercorso tra la definizione del contenuto e le interazioni).
E’ nostro dovere sottolineare che Facebook, come Instagram e gli altri, non è stato mai solo un “social”, non è nato solo per migliorare le relazioni tra persone : il suo focus è sempre stato monetizzare i dati generati dagli utenti, e trarne il massimo del profitto nel soddisfare il singolo utente.
Ma accanto a Facebook ci sono altri social che hanno valenza e ruolo nell’ambito della comunicazione d’impresa.
Twitter, rete sociale contrassegnata dall’uccellino blu, è nata nel 2006 ed è famosa per i suoi post di 140 caratteri, poi portati nel 2017 a 280.E’ una piattaforma sociale molto nota, ma poco utilizzata. L’algoritmo di Twitter è meno sofisticato di quello di Facebook, ma ha lavorato molto per migliorare, puntando sul coinvolgimento (engagement) dell’utente. Il suo compito è quello di mostrare alle persone i contenuti a cui potrebbero essere interessati.
Anche Instagram, nata nel 2010, è una rete sociale che punta essenzialmente sul fattore visivo. Permette di scattare foto, video o stories, di modificarli tramite filtri e di condividerli sul proprio profilo. Nel 2012 il social viene acquistato da Facebook e quattro anni dopo, nell’agosto dl 2016, arriva la grande invenzione: le stories, brevi video, che si autocancellano dopo 24 h.
Con le stories, Instagram, quindi Facebook, decidono di far esprimere le persone in un modo semplice. Cos’è che conta? Apparire, non essere. L’apparenza significa oggi faccio o dico una cosa, domani si vedrà.
Linkedln ha una particolarità molto interessante. Con quasi 7 milioni di candidature aperte, offre, ad un selezionatore del personale, il più grande pool di candidati da contattare e connettersi con il più alto tasso di risposta. Questo social utilizza gli algoritmi con la capacità di prevedere i candidati che sono i più adatti al ruolo richiesto dall’utente. Linkedln ha drasticamente cambiato i suoi algoritmi in corrispondenza di come è cambiato il lavoro. Tutto ciò porta gli utenti verso due milioni di nuove opportunità di lavoro.
Poi ci sono altri social che potremmo definire “no profit”. I motivi per cercare un’alternativa a Facebook sono tanti: le condizioni generali poco chiare, i problemi relativi alla sicurezza dei dati, le linee guida della piattaforma spesso poco convincenti. Per ovviare a questa situazione si va affermando l’idea di portare gli utenti verso social meno conosciuti, ma più liberi, sicuri, più etici. Brevemente analizziamone alcuni.
La piattaforma Diaspora che si definisce come ”un mondo sociale on line”, nel quale sei tu ad avere il controllo sui tuoi dati. Tecnicamente si pone come un’alternativa a Facebook con una piattaforma in cui i dati non vengono raccolti in maniera centralizzata.
Telegram si batte, fin dalla sua nascita nel 2013, per la libertà dell’informazione, ha dimostrato più volte di mettere al primo posto la privacy dell’utente e tutelare il suo diritto di parola. Da sottolineare che Telegram non è un semplice programma di messaggistica, ma un vero e proprio social, con canali e gruppi pubblici e non solo privati.
Ello, sin dalla fondazione avvenuta nel 2012, i gestori si erano prefissati di diventare l’alternativa a Facebook senza pubblicità. Non permette la trasmissione dei dati degli utenti per fini pubblicitari.
Lo sviluppo inarrestabile delle piattaforme digitali progressivamente ha messo fuori mercato il precedente internet cooperativo, ampliando ancor di più le disuguaglianze sociali. I social hanno da vendere un nuovo prodotto: noi stessi, i nostri gusti, i nostri desideri, i nostri interessi. I dati nelle nuova economia sono simili al petrolio.
E’ necessario però sottolineare altri lati negativi dell’era del digitale come è certamente il rischio per la privacy, ovvero può accadere che i nostri dati personali siano usati da altri.
Il furto d’identità è uno dei rischi più frequenti, le identità digitali possono essere oggetto di furto, utilizzando dei procedimenti di social engineering; gli utenti ignari vengono indotti ad eseguire azioni finalizzate al furto di credenziali di accesso ai dati personali
Il phishing, ovvero quando un soggetto fingendosi un ente affidabile in una comunicazione digitale, cerca di appropriarsi di dati quali numeri della carta di credito, password di natura personale.
Ancora, l’uso sconsiderato dei social può diventare alienante a tal punto che si possa perdere il senso della realtà. Avere tanti amici virtuali non è la stessa cosa di come averli nella vita reale.
Si può verificare l’incremento di rischi psicosociali come ansia, depressione, solitudine. In sostanza, si sviluppa un nuovo modo di stare soli con l’illusione dello stare insieme, sacrificando, spesso, la conversazione a favore della connessione.
In questo mondo altamente tecnologico, gli utenti dei social hanno ammesso che il 31% parlano meno con i propri genitori, per il 33% con i propri figli, il 23%,con i propri partner e con gli amici il 35% .
Da non sottovalutare che nei social il numero dei “like” ai post o foto pubblicati, per molte persone è segno di successo sociale, si cura maggiormente la propria identità virtuale rispetto a quella reale.
Il cyberbullismo, è un fenomeno molto serio soprattutto tra i giovani che per il 70% ammette di esserne stato vittima almeno una volta, e tra il 15% e il 40% che ne è oggetto abituale. Circa il 7% dei bambini tra 11 e 13 anni è risultato vittima di prepotenze tramite internet una o più volte al mese.
I volti del cyberbullismo sono tanti. Oggi si parla di haters (coloro che fomentano odio con insulti), di sextortion (il ricatto di chi minaccia di rendere pubbliche foto o video di natura sessuale), di revenge porn ( la vendetta di chi usa foto o video di natura intima per screditare la vittima), di pedopornografia che riguarda essenzialmente i minori che sottovalutano le conseguenze di certe azioni.
Da una indagine di Save Children è emerso che le ragazze condividono maggiormente, rispetto ai ragazzi, foto o video personali e fatto grave è che non si rendono conto del rischio che corrono nell’inviare messaggi con riferimenti sessuali.
Il pericolo, specie tra i più giovani, è proprio la dipendenza: cioè il tempo trascorso davanti ad uno schermo, magari facendo vamping, (vampireggiare) termine riferito a quei ragazzi che rimangono svegli fino alle prime ore del mattino per socializzare, chattare e tenere contatti con altri utenti.
La recente tragica morte di una bambina di 10 anni, a seguito di un challenge su Tik tok, un popolare social per giovanissimi, ha riacceso i riflettori sulle delicatissime dinamiche della rete.
I pericoli ai quali è esposto il minore nell’uso dei social rendono necessaria una tutela specifica degli stessi, e impongono ai genitori non solo il dovere di impartire al minore una educazione adeguata sull’uso dei mezzi di comunicazione, ma anche svolgere un’attività di vigilanza circa il suo utilizzo. Questo per prevenire, da un lato, che i minori siano vittime dell’abuso di internet da parte di terzi e, dall’altro, evitare che i minori cagionino danni a terzi o a se stessi.
Il quadro delineato non ci permette di predire un futuro certo per i social network ,in questa situazione importanti sono i segnali che provengono dal mercato digitale. Qualcosa sta cambiando.
Facebook non sta vivendo un periodo semplice: dopo lo scandalo del marzo 2018, ha dovuto denunciare un attacco alla piattaforma, 30 milioni di profili sono stati violati.
L’8 ottobre scorso , Google ha annunciato che la versione di Google+ sarà chiusa, in quanto la piattaforma non ha mai riscosso il successo sperato. Secondo una ricerca di Global Web Index, il 32% degli utenti in Usa e UK hanno disattivato o chiuso un account social negli ultimi 12 mesi.
In Italia il fenomeno non è ancora evidente, tuttavia la ricerca “Come cancellare il profilo/account Facebook su Google è cresciuta del 70% rispetto al 2019.
E’ solo un problema di privacy o forse la crisi che sta lambendo i social è più profonda e si nasconde nei contenuti, nella sicurezza? In modo ineluttabile i social , da luogo virtuale nato per mettere in contatto amici, persone con interessi comuni, è diventato posto dove trovare notizie del giorno, video divertenti, recensione di marchi commerciali.
In questo modo la piazza si anima, il rumore sale, chi urla di più prende il sopravvento. La piazza è virtuale e qualcuno decide di forzare ulteriormente. Nascono notizie e profili falsi, aumenta la confusione e le fake news ossia le notizie false.
Ormai non si sa quanto si sia andati lontano dall’idea iniziale di comunità di amici felici. I social però lo sanno. Si dovrebbero adottare contromisure, ma gli algoritmi e l’intelligenza artificiale faticano a selezionare i contenuti pericolosi, non sono capaci di intercettarli.
Il futuro dei social sta quindi nella velocità di reazione delle piattaforme e da quella degli utenti. Saranno più rapide quelle a ripulire l’ambiente dalle troppe contaminazioni, o questi ad abbandonare una realtà diventata ormai tossica?

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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