Vengo anch’io no tu no

“C’È MINNITI, NON VADO”. COSÌ IL PAPA DISERTÒ IL FORUM MEDITERRANEO

La notizia confermata dal blog di informazione vaticana «Silere non possum». Fonti interne alla Cei riferiscono le frasi di Bergoglio. Francesco definisce l’ex capo del Viminale «un criminale di guerra»

«Se c’è Minniti, allora non vado io». Dopo tre mesi si scopre il motivo per cui papa Francesco, oltre alla «gonalgia acuta» al ginocchio che già lo tormentava, ha deciso di non partecipare all’incontro finale fra vescovi e sindaci del Mediterraneo, che si è svolto a Firenze domenica 27 febbraio: la presenza dell’ex ministro degli Interni Marco Minniti, definito da Bergoglio senza mezzi termini «criminale di guerra» – visto il suo attuale impegno come presidente della Fondazione “Med-Or”, creatura di Leonardo spa, la principale azienda armiera italiana – nonché “padre” degli accordi fra Italia e Libia che consentono di respingere i migranti nei «campi di concentramento» allestiti nel Paese nordafricano.

IL MANIFESTO a suo tempo (1 marzo) aveva riferito l’ipotesi – sebbene con qualche dubbio – che papa Francesco avesse disertato l’incontro di Firenze sì per il problema al ginocchio, ma anche per la partecipazione di Minniti. Una presenza fra l’altro duramente contestata anche dall’associazionismo antirazzista e pacifista e dal mondo cattolico di base: «Riteniamo che la presenza di Minniti sia fortemente in contrasto con le aspettative delle realtà sociali, laiche o religiose, che operano in difesa della dignità delle persone», avevano scritto allora in una lettera appello.

ORA LA CONFERMA che Francesco non sia andato a Firenze anche per evitare di ritrovarsi accanto all’ex ministro degli Interni arriva dal blog di informazione vaticana Silere non possum, una fonte ben introdotta nei Sacri palazzi e non sospetta di simpatie per Bergoglio, anzi espressione di quel mondo curiale conservatore che non perde occasione di criticare il pontefice quando assume posizioni giudicate troppo liberal.

Il blog racconta uno scambio avvenuto lo scorso 23 maggio, durante il colloquio a parte chiuse fra il papa e i vescovi italiani, all’inizio dell’assemblea generale della Cei. Monsignor Derio Olivero, vescovo di Pinerolo che a Firenze era presente, chiede a Bergoglio come mai abbia rinunciato a partecipare all’incontro. Il papa risponde che i medici gli avevano sconsigliato di andare e poi aggiunge – secondo il racconto di Silere non possum – che era stato avvisato che «all’incontro erano presenti delle persone, fra cui Marco Minniti, che erano implicati nell’industria delle armi e pertanto “era meglio che il papa non partecipasse”».

SENTENDOSI evidentemente chiamato in causa, interviene il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze prossimo al pensionamento, il quale dice al papa che è stato «informato male, perché c’erano due convegni, quello dei vescovi e quello dei sindaci (organizzato dal sindaco Dario Nardella, ndr). Ci siamo uniti solo successivamente, l’ultimo giorno». Una giustificazione inconsistente per Bergoglio, che replica stizzito: «No, tu puoi continuare a dire quello che vuoi, a me hanno detto che c’erano questi signori invitati, c’era anche Minniti». E ancora: «Mi hanno fatto vedere quando erano al ministero quali leggi hanno fatto, sono dei criminali di guerra e ho visto anche i campi di concentramento in Libia dove tenevano questa gente che loro hanno respinto!».

E infatti papa Francesco non solo non è andato a Firenze, ma non si è collegato in streaming per tenere il proprio discorso ai vescovi e ai sindaci riuniti insieme al presidente della Repubblica Mattarella nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, non ha mandato un proprio delegato e non ha rivolto nemmeno un saluto durante l’Angelus domenicale, regolarmente guidato da Francesco in piazza San Pietro.

Da il Manifesto, Luca Kocci

Papa Francesco non solo non si presentò quella Domenica a Firenze ma non inviò neppure il Cardinale Pietro Parolin, come era stato anticipato e non saluto i vescovi italiani neanche durante l’Angelus.

Sabato si celebreranno i funerali di Papa Francesco ci chiediamo semplicemente con quale coerenza parteciperanno il presidente Javier Milei, Donald Trump e Giorgia Meloni. 

Questa foto è stata scattata l’11 luglio scorso e ritrae  sei deputati di La Libertad Avanza, il partito di estrema destra del presidente Javier Milei, insieme a un gruppo di repressori che sono rinchiusi nel carcere di Ezeiza, nella provincia di Buenos Aires. Tutti loro stanno scontando una pena dopo che è stata provata la loro partecipazione attiva a crimini contro l’umanità. In questa immagine si scorge anche Alfredo Astiz, l’emblema del terrorismo di Stato.

La foto immortala alcuni dei 70-80 migranti diretti in Guatemala, imbarcati alla base militare di Fort Biggs nei pressi di El Paso, in Texas, una delle zone calde del confine col Messico. Il Pentagono ha messo a disposizione due C-130 e due C-17 che, in coordinamento con il dipartimento di Stato e il dipartimento della Homeland security, sono utilizzati per le espulsioni. La procedura dei rimpatri è sempre questa, ma la Casa Bianca ha voluto mostrare a tutti la durezza del suo pugno di ferro come monito contro “l’invasione” dei clandestini.

Il 28 marzo il consiglio dei ministri ha approvato un decreto che prevede l’uso delle strutture come centri per il rimpatrio (Cpr), cioè centri di detenzione amministrativa per i migranti irregolari. Le strutture saranno ampliate fino a contenere 140 posti in più rispetto agli attuali e saranno usate anche per ospitare migranti irregolari, cioè stranieri a cui è già stato rifiutato l’asilo o a cui è scaduto il permesso di soggiorno.

Come griderebbe Enzo Jannacci “vengo anch’io no tu no”.

 

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Il coraggio di Francesco

VISITA A LAMPEDUSA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Campo sportivo “Arena” in Località Salina
Lunedì, 8 luglio 2013

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Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie! Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto, il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco signora Giusi Nicolini, grazie tanto per quello che lei ha fatto e che fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!

Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti.

«Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!

Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.

«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare.

«Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!

Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.

«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?

Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!

Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».

Al termine della Celebrazione il Santo Padre ha pronunciato le seguenti parole:

Prima di darvi la benedizione voglio ringraziare una volta in più voi, lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. Il Vescovo ha detto che Lampedusa è un faro. Che questo esempio sia faro in tutto il mondo, perché abbiano il coraggio di accogliere quelli che cercano una vita migliore. Grazie per la vostra testimonianza. E voglio anche ringraziare la vostra tenerezza che ho sentito nella persona di don Stefano. Lui mi raccontava sulla nave quello che lui e il suo vice parroco fanno. Grazie a voi, grazie a lei, don Stefano.

Copyright © Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice 

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«Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!»” (Matteo 27,24)

Secondo i Vangeli Pilato, vedendo Gesù tornare dopo l’incontro con Erode, avrebbe tentato ancora di salvarlo, prima invocando per lui l’amnistia pasquale, secondo la quale poteva essere concessa la libertà a un prigioniero in occasione della Pasqua (Gv 18,39), poi proponendo una condanna per fustigazione e la liberazione. Come ben sappiamo, la folla sobillata dai sacerdoti volle Barabba libero, anziché Gesù.
A questo punto, secondo la tradizione, Ponzio Pilato se ne lava le mani e fa flagellare Gesù, solo per proporre ancora una volta alla folla di lasciar andare quell’uomo ferito, spezzato nel corpo, umiliato e deriso. Ma ancora la gente invoca la crocifissione, e, a questo punto, per evitare disordini, Pilato cede e lo condanna in quanto reo di blasfemia.
Fu lo stesso Prefetto a ordinare che sul Titulus crucis, l’iscrizione che veniva posta sulla croce, con il motivo della condanna, fosse scritto in ebraico, latino e greco: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”.

Oggi  Trump dice: “Sarò alleato dell’Italia solo se c’è Meloni al governo”. La premier sovranista non ha fatto una piega.
Traduzione: “Siamo amici solo se c’è Giorgia” raffigura la visione di Trump che vuol farsi imperatore, non cerca alleati, cerca proconsoli, e com’è noto in Giudea non hanno potuto scegliersi il prefetto da soli. Ponzio Pilato gliel’ha mandato Tiberio. Buona Pasqua!»(Pierluigi Bersani docet)

Che cosa accadde in seguito a Ponzio Pilato? Dopo la condanna di Gesù, egli continuò a governare la Galilea con inflessibilità e durezza, osteggiando i dissensi e reprimendo rivolte in modo sempre più sanguinoso, finché i Giudei non mandarono una delegazione a Roma chiedendo e ottenendo la sua destituzione all’Imperatore in persona. Quando Pilato tornò a Roma era diventato Imperatore Caligola, che lo mandò in esilio nella Gallia Viennense. Qui l’ex Prefetto, caduto in disgrazia, si sarebbe suicidato.

P.S. Rileggendo il comunicato congiunto Usa-Italia dopo il viaggio del Presidente Meloni:

COOPERAZIONE TRA STATI UNITI E ITALIA PER LA PROSPERITÀ CONDIVISA

Gli Stati Uniti e l’Italia concordano di adoperarsi per garantire che il commercio tra gli Stati Uniti e l’Europa sia reciprocamente vantaggioso, equo e reciproco.

Sottolineiamo l’importanza delle tecnologie dell’informazione per consentire la libera impresa attraverso l’Atlantico. Abbiamo convenuto che è necessario un ambiente non discriminatorio in termini di tassazione dei servizi digitali per consentire gli investimenti da parte delle aziende tecnologiche all’avanguardia.

Accogliamo con favore gli investimenti americani nell’intelligenza artificiale e nei servizi cloud in Italia per massimizzare le opportunità della trasformazione digitale e sostenere l’Italia come hub regionale chiave per il Mediterraneo e il Nord Africa. 

In pratica entriamo nel firmamento delle stelle della bandiera a strisce USA.

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Una sfida che parte da lontano.

Avevo poco più di cinque anni quando la mia famiglia emigrò nella capitale alla ricerca dell’agognato lavoro. Eppure nelle mie piccole tasche di quei pantaloncini che indossavo ho portato con me quella piccola radice che non mi ha mai fatto abbandonare veramente questo luogo dell’anima. Il lavoro l’ho incontrato proprio dentro un giacimento di valori nato dall’intuizione francescana di San Bernardino da Siena. Un miracolo chiamato monti di pietà, un microcredito di un Italia assediata dalla povertà e depredata dall’usura. Oggi che la povertà dilaga nuovamente sono propri i diritti di tutti noi a rischio estinzione. Giovedì 17 aprile ero seduto nel teatro Cimello di Monte San Giovanni Campano per l’insediamento del comitato del comitato referendario indetto dalla Cgil dal titolo “il voto è la nostra rivolta”.

Ho incontrato il mio sindacato mezzo secolo fa in piazza del Campo. Un mirabile racconto di quella straordinaria azienda è rintracciabile nel libro di Antonio Damiani e Toni Fibbi “Parole al lavoro” che racconta la contrattazione al Monte dei Paschi di Siena dal 1968 al 2018. Purtroppo quel campo dei miracoli in cui nascevano nuovi diritti oggi è miseramente arido. Tutto l’universo del lavoro italiano si è progressivamente e drammaticamente desertificato. All’alfabeto dei diritti si è sovrapposta la dittatura dei numeri. Pian pian ho visto scomparire dagli occhi dei lavoratori, nella mia esperienza di sindacalista, quella luce capace di illuminare quelle parole e trasformarle in conquiste per tutti.

La fotografia attuale l’ha scattata Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che ha fatto un’indagine sulle competenze di base degli adulti tra i 16 e i 65 anni, che ha indagato la capacità di comprensione del testo, di fare calcoli anche semplici e di risolvere problemi in varie situazioni. Il risultato mostra una situazione molto negativa per gli adulti residenti in Italia, che hanno dimostrato abilità mediamente inferiori rispetto agli altri paesi avanzati: tra i 31 presi in considerazione l’Italia è sempre nelle ultime posizioni. Oggi siamo qui invece per provare a coltivare di nuovo quel campo. Trovare nuove sorgenti sarà la vera sfida per il futuro.

La sala ci ospita è proprio sotto il Comune. Ricordiamo ancora i punti programmatici della giunta al governo di questo paese della ciociaria. Tra questi quello di costituire uno sportello per il Lavoro con l’obiettivo di sostenere le persone nell’individuazione e nella realizzazione del proprio progetto formativo e professionale, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, in collaborazione con i Centri per l’Impiego e le aziende private di ricerca e selezione del personale. Anche il Career Day programmato sembra un lontano ricordo. Quest’anno non c’è traccia come pure del Sindaco che non siamo riusciti ad incontrare.
Grazie comunque a Donato Gatti e Sandro Chiarlitti che hanno comunque tenuta accesa la speranza e consegnato il testimone al giovane Armando.

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Fatima per sempre

L’agenzia palestinese Wafa: la giornalista Fatima Hassohunec e la sua famiglia uccisi a Gaza.

Il sole di oggi non sarà violento con nessuno. Abbraccia la città con il calore di una madre, che non ha mai conosciuto. E si scrolla di dosso il dolore con la fermezza di una vecchia donna i cui figli fanno visita dopo una lunga attesa. E la cornice sarà perfetta, dall’alto, proprio come Fatima amava scattare le sue foto.

Se muoio voglio una morte che scuota il mondo. Non voglio essere solo un titolo di giornale o un numero tra le statistiche. Voglio una morte che il mondo senta, un’eredità che duri per sempre, immagini immortali che il tempo non possa seppellire”.

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La sottile linea rossa

Mentre si scava a mani nude per salvare le vite intrappolate sotto le macerie in  Myanmar, la giunta militare golpista al governo di quel Paese ha effettuato una serie di bombardamenti nel sud del suo Paese. Il comandante militare Min Aung Hlaing ha continuato a colpire il suo popolo perfino  i villaggi vicini all’epicentro, nella regione del Sagaing.  In questo triste e tragico quadro sono invece in arrivo gli aiuti dalla Cina, India, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite. La Cina ha stanziato già la cifra di 100 milioni di yuan (oltre 10 milioni di €) e inviato un team di soccorritori di 82 persone. Il ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha detto che un aereo da trasporto militare C-130 è stato inviato con kit igienici, coperte, pacchi di cibo e altri beni essenziali. Il ministero degli esteri della Corea del Sud ha dichiarato che invierà 2 milioni di dollari in assistenza umanitaria “per supportare gli urgenti sforzi di soccorso e soccorso” dopo il terremoto. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato di aver mobilitato il suo hub logistico a Dubai per preparare le scorte per i traumi dopo il terremoto e di aver attivato la sua risposta di gestione delle emergenze. Il ministero russo che si occupa delle emergenze invece ha fatto partire due aerei con 120 soccorritori, medicinali, rifornimenti e cani per cercare i dispersi. L’ONU ha  appena stanziato 5 milioni di dollari.

Da Giorgia Meloni arriva invece  la consueta  miserabile solidarietà social non riuscendo minimamente a tradurre l’auspicio del Presidente Mattarella  di facilitare  con ogni strumento possibile l’afflusso degli aiuti di emergenza, a sostegno delle squadre di soccorso e dei bisogni della popolazioni colpite dal tremendo sisma. Infine Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha, senza mostrare alcun segno di vergogna,  promesso ipocritamente  di intervenire, nonostante abbia recentemente  smantellato l’USAID, ovvero l’agenzia federale che fornisce aiuti umanitari e assistenza per lo sviluppo in decine di paesi in tutto il mondo.

Basta toccare con mano cliccando qui.

 

Ormai siamo oltre la linea rossa della vergogna universale!

 

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Papa Francesco torna a casa

Rientrare a casa dopo l’estremo pericolo è gioia tra le più profonde, GRAZIE!
Domenica 23 marzo 2O25👏🤝🙌❤️✌️

Don Paolo Galante

 

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Quest’Italia non è la mia Italia

 

Quello che segue è il primo ed ultimo discorso pubblico di Mussolini nella R.S.I., dove analizza la disfatta del 1943 (ne riportiamo alcuni brevi stralci).

A questo punto occorre dire una parola sull’Europa e relativo concetto. Non mi attardo a domandarmi che cosa è questa Europa, dove comincia e dove finisce dal punto di vista geografico, storico, morale, economico; né mi chiedo se oggi un tentativo di unificazione abbia migliore successo dei precedenti. Ciò mi porterebbe troppo lontano. Mi limito a dire che la costituzione di una comunità europea è auspicabile e forse anche possibile, ma tengo a dichiarare in forma esplicita che noi non ci sentiamo italiani in quanto europei, ma ci sentiamo europei in quanto italiani. La distinzione non è sottile, ma fondamentale.

Come la nazione è la risultante di milioni di famiglie che hanno una fisionomia propria, anche se posseggono il comune denominatore nazionale, così nella comunità europea ogni nazione dovrebbe entrare come un’entità ben definita, onde evitare che la comunità stessa naufraghi nell’internazionalismo di marca socialista o vegeti nel generico ed equivoco cosmopolitismo di marca giudaica e massonica.

La socializzazione fascista è la soluzione logica e razionale che evita da un lato la burocratizzazione dell’economia attraverso il totalitarismo di Stato e supera l’individualismo dell’economia liberale, che fu un efficace strumento di progresso agli esordi dell’economia capitalistica, ma oggi è da considerarsi non più in fase con le nuove esigenze di carattere «sociale» delle comunità nazionali.

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Una giornata particolare alla Mendrella

 

Oggi in località Mendrella il CIRCOLO LEGAMBIENTE VOLONTARIATO LAMASENA è stato promotore ed artefice di un’attività di  bonifica di grande importanza. Al riguardo abbiamo chiesto al suo Presidente Remo Cinelli di raccontarci come sia nata l’iniziativa di oggi? “Ti posso dire che l’attività Ecologica di oggi nasce per iniziativa di diversi soci che vivono sul territorio e che non restano indifferenti rispetto alle barbarie che vediamo intorno, in termini di rifiuti abbandonati anche in luoghi di pregio, difatti l’azione di pulizia che abbiamo fatto oggi è riferita ad un territorio ovvero un luogo che ha delle caratteristiche naturalistiche e storiche di pregio: la Mendrella. Infatti  e lì insiste fontana canale, fontana mendrella. Il nostro obiettivo era dare un segnale forte e riportare dignità ad un  territorio che ha subito importanti violenze. Ricordo al riguardo, che la nostra associazione ha in affidamento fontana canale. Oggi siamo riusciti a mettere insieme diversi enti tra cui l’associazione nazionale dei Carabinieri, l’amministrazione comunale di MSGC e l’associazione Gaia. Un coagulo di disponibilità che mi auguro possa dare i suoi frutti.” Come seconda domanda ti sottolineo che il gruppo consiliare del Comune di Monte San Giovanni Campano “Insieme per il futuro di Monte” ha proposto all’ultimo consiglio  di destinare 15.000 euro al mondo dell’associazionismo locale. Purtroppo la mozione è stata respinta dalla giunta. Che giudizio nei dai? “Le risorse a favore degli Enti del Terzo Settore sono sempre molto scarse, quindi, è stata sicuramente meritoria l’iniziativa che ha cercato di spostare piccoli capitoli di bilancio a favore delle associazioni che operano a favore della collettività. Non perdo la fiducia che l’amministrazione comunale ne possa discutere ancora per cercare di intercettare quei fondi che sarebbero utilissimi per strutturare meglio le attività dotando le associazioni stesse di mezzi più efficaci come potrebbero essere i dispositivi di protezione individuale o gli utensili da lavoro.” Ci racconti infine che avete trovato oggi alla Mendrella? “Abbiamo raccolto con il sostegno di trenta volontari almeno 10 metri cubi di rifiuti che abbiamo conferito in un luogo che sarà successivamente smaltito ad opera della Caruter. Abbiamo trovato materiali ferrosi, elettrodomestici abbandonati ovvero prodotti RAEE che andranno smaltiti in modo opportuno. Tantissimi pneumatici. Abbiamo trovato persino amianto, lastre di bitume e infine tante arcasse di animali. Naturalmente abbiamo stilato un rapporto che trasmetteremo all’amministrazione comunale. Questo conferma che il luogo prescelto (fontana mendrella) è divenuto nel tempo l’epicentro di questo scempio ambientale proprio per la caratteristica di essere un luogo isolato. Mi auguro che la presenza oggi del vice sindaco e dell’assessore all’ambiente dell’amministrazione comunale possa contribuire a recuperare piena coscienza dell’importanza della salvaguardia ambientale di questo luogo di pregio.”

Grazie Remo.

Ci preme infine un aggiornamento sullo stato di degrado del giardino comunale dedicato ai bambini, di cui ne abbiamo parlato qui del gatto morto sulle scale di accesso. Proprio in questa domenica dedicata all’ambiente vi possiamo dire tristemente che quel povero gatto è ancora lì!

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Volevo la luna, no marte.

Se avessi avuto la possibilità di decidere le manifestazioni oggi in programma le avrei collocate più che in uno spazio diverso in un tempo diverso. Credo che la notte più che il giorno rappresenti meglio il nostro oscuro presente. L’invito che oggi, chiudendo gli occhi è quello di cercare quella luna capace di ispirare un futuro diverso per i nostri figli.

Il 05.10.2002 Pietro Ingrao pronunciò questo discorso  durante la cerimonia per la laurea ad honorem conferitagli ieri dall’Università di Barcellona.

Vi prego rileggetelo.

E c’è qualcosa che mi spaventa di più. C’è il fatto amaro che nei nostri Paesi il senso comune non si allarma: non trema più. Dobbiamo dirla questa verità amara. Sfogliate i libri, porgete l’orecchio alle parole dei governanti. Scorrete le pagine dei dibattiti parlamentari. Troverete che è sparita la parola “disarmo”. Non l’usa più nessuno.
È in questo senso largo e agghiacciante che io parlo di una “normalizzazione” della guerra. S’è liquefatto lo spavento, l’orrore che scosse la mia generazione e – in quel maggio del 1945 – ci fece giurare che mai più sarebbe tornato il massacro.
Come mentivamo! Guardate all’oggi: guardate come si discute ora, in questi giorni, apertamente di un attacco all’Irak, e si invoca la guerra preventiva. E chi ne parla non è un politico scervellato o un gazziettiere fanfarone. La propone oggi al mondo – come compito ineludibile ed urgente – il Presidente degli Stati Uniti, capo della potenza più grande della terra.
E ciò avviene senza troppo scandalo. Non si riuniscono in ansia i Parlamenti. Non suonano di spavento le campane delle chiese. Né i sindacati preannunciano scioperi. Appunto: è diventata normale, invocata dal Paese che si considera guida del mondo, la guerra di prevenzione.
Su che si è fondata questa rivalutazione e normalizzazione della guerra e perché il pacifismo oggi è una scelta di ristrette minoranze?
Io voglio solo alludere a una spiegazione che – per comodità e brevità – chiamerò “tecnica”. In verità non è nelle mie competenze il vaglio delle grandi innovazioni tecnologiche e dei nuovi saperi che hanno dilatato e rivoluzionato i sistemi d’arma, la trama dei conflitti, la combinazione delle strategie fra terra, mare e cielo. Ho però in mente i mutamenti forti avvenuti nel rapporto politico-sociale tra la vita dell’uomo semplice e delle masse di civili e ciò che è diventata la guerra, a questo passaggio di secolo.
Mi sembra indubbio che negli ultimi decenni si sia venuta sviluppando (o ritornando?) la connotazione “specialistica” della pratica di guerra. Sembra scomparsa o impallidita quella connotazione totalizzante che essa assunse clamorosamente dall’inizio del Novecento: quel cammino che a partire dal conflitto mondiale del 1914 vide schierati sui fronti di vari continenti milioni di uomini: per anni ed anni, e in una condizione umana radicalmente diversa dal vivere civile: quella guerra di massa nel fango delle trincee che presto venne via via dilatandosi fino a coinvolgere l’insieme delle nazioni, le città lontanissime dal fronte, la vita degli inermi, le donne e i fanciulli. Insomma, la guerra di massa. La guerra mondiale, come la chiamammo.
Oggi i compiti prevalenti, il nucleo centrale dell’azione bellica sembrano di nuovo affidati a soldati di mestiere: a cittadini e a cittadine che accettano o addirittura chiedono di essere chiamati a praticare la scienza della guerra: con le sue tecnologie raffinate e con i suoi rischi di morte.
L’uccidere collettivo in nome del potere pubblico torna ad essere compito nobile ed ambito: sotto l’aspetto delle retribuzioni, del rango sociale, del riconoscimento pubblico.
E l’esistenza di questi corpi specializzati nell’uccidere, in nome della comunità pubblica, appare come una nuova divisione di compiti, che permette ai civili, garantiti da quella protezione e sapienza specialistica, di dedicarsi – diciamo così – serenamente ai compiti di pace. Dunque il soldato Ryan – ricordate il film famoso? – può starsene tranquillamente nella sua città, perché un adeguato “esercito di mestiere” si accolla sulle spalle il cruento e “nuovamente” nobile mestiere della guerra.
Si potrebbe perciò pensare che questa rivalutazione delle armi e il suo rilancio come nerbo e risorsa centrale della politica poggino sull’operazione di sgravio delle masse dei civili, e sull’allontanarsi – dal loro orizzonte – del pericolo di un ritorno delle prove terribili vissute in due tragiche guerre mondiali (e altre ancora).
E si può anche pensare che Bin Laden e il massacro feroce delle Due Torri – consapevolmente e con una sconvolgente audacia – abbiano voluto e tentato di rigettare nella fornace della guerra di massa “i civili” del nemico americano: per seminare nuovamente nel loro animo lo spavento della guerra, la paura di massa dei massacri di massa.
Fu ciò quella sfida feroce? Non lo so. So che gli eventi terribili a cui ho fatto cenno e l’incalzare dei fatti intorno a noi riaprono domande aspre sul senso e sulle forme che assume la politica nello schiudersi del Terzo Millennio e nell’età della globalizzazione: un età in cui il capitalismo – disaggregati su scala del mondo i momenti del produrre e del consumare – è riuscito a scardinare e a frantumare le nuove soggettività sociali, che nel corso del tragico Novecento avevano messo in discussione i suoi poteri ed i suoi parametri.
E però – con sorpresa di molti – da questa vittoria non sono sgorgate la primavera del Terzo Millennio e la calma di una stagione sicura delle sue intime regole.
Torna ancora sul trono con tracotanza (ma anche con un dubbio interiore) la scienza dell’uccidere, e torna proprio in quel Vertice del mondo occidentale dove – dopo la tragica sconfitta dei “rossi” – sembrava dovesse fiorire una calma saggezza inconfutabile.
Allora, in quel 1936, il fragore delle armi sulla vostra terra e le macerie di “Guernica” cambiarono la mia esistenza, mi trascinarono nel conflitto. Non pensavo, non avrei mai pensato che avendo avuto la fortuna di vivere quasi per un secolo alla fine sarebbe tornata quella domanda elementare sul diritto e sulle forme dell’uccidere collettivo i propri simili, e che quest’arte venisse oggi presentata addirittura come strumento di “educazione” del mondo: di saggia “prevenzione”.

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